L'arte di Shendra Stucki è strutturata attorno a due poli principali, ossia l'identità e le connessioni fisiche e spirituali tra gli esseri umani.
Nelle sue opere Stucki utilizza tecniche e materiali molto diversi tra loro, creando installazioni, dipinti, collage e murales.
Le installazioni, solitamente di grandi dimensioni, sono spesso create utilizzando materiali di recupero, in particolare cavi elettrici colorati che vengono usati per dar vita a circuiti, o meglio, cortocircuiti tra elementi, e per rappresentare l'energia e le connessioni al centro della vita umana e della società odierna. In questo senso la città, reticolo di rapporti e scambi, diventa un simbolo della comunicazione moderna e contemporanea. Non sorprende dunque il fatto che siano proprio le città a essere al centro della riflessione dell'artista.
Attraverso le sue opere Shendra Stucki indaga le relazioni che si instaurano tra gli individui in una società interconnessa e sempre più simile a una rete, a una ragnatela, come quella contemporanea, soffermandosi su ciò che lega e unisce gli individui, piuttosto che su ciò che li divide. Lo spazio fisico e psichico che abitiamo, ricco di polarità e di tensioni, strutturato attorno a scambi di emozioni, energie ma anche a rapporti di forza e di dipendenza, diventa così oggetto di indagine attraverso quelli che sono i materiali di scarto di una società dei consumi che procede sempre più velocemente. Recuperare materiali di scarto, i rifiuti di una società capitalistica che mira a produrre un carico di merce sempre maggiore, diventa così anche uno strumento per sfuggire alle logiche del consumo e della sovrapproduzione. Per questo motivo per realizzare le sue opere Shendra Stucki si avvale del ferro, di cavi, di circuiti di computer e oggetti elettronici spesso recuperati nelle discariche, così come di ritagli di riviste o quotidiani che diventano obsoleti, vecchi, già il giorno successivo a quello in cui vengono stampati.
L'esempio più rappresentativo in questo senso è l'installazione a forma di albero, che rappresenta una città contemporanea, costruita a partire da una struttura in ferro e ricoperta di cavi elettrici, creata nel 2010 e esposta in occasione di diverse mostre in svariate città europee.
"L'albero - The Tree", struttura in tondini di ferro, fascette e cavi elettrici. 3m h, 4x5m complesso dei rami, 10m di prolungamento radici. Giugno 2010
Un'altra installazione di Shendra Stucki in cui la riflessione sulle connessioni umane è centrale, è quella concepita e realizzata in occasione della mostra Ohm sweet Ohm organizzata dall'associazione La Nef, nel Canton Giura. Si tratta di un'opera site-specific realizzata appositamente per gli spazi dell'antica chiesa di Noirmont. Trattandosi di un'opera site-specific realizzata in una chiesa, e essendo La Nef una realtà le cui sorti erano in forse, l'artista ha preso come riferimento sia il tema del sacro sia il tema della resistenza.
Shendra Stucki ha così immaginato un numero indefinito di braccia protese verso il cielo che escono con forza dal pavimento invocando giustizia.
Per realizzare l'opera, l'artista ha coinvolto attivamente la comunità del paese giurassiano, proponendo agli abitanti di diventarne parte integrante grazie al calco in cemento delle loro braccia.
I calchi delle braccia degli abitanti che hanno scelto di contribuire alla creazione dell'opera sono così diventati l'elemento centrale dell'installazione Dall'oltretomba al cielo, trasformandola in una vera e propria opera d'arte collettiva.
Il fatto che le braccia fossero di abitanti del villaggio di ogni età ha contribuito a tratteggiare il ritratto di un' intera umanità spinta dallo stesso scopo, e capace di generare una carica energetica di speranza, un'unica grande carica di energia superiore ad ogni istituzione e ostacolo.
L'opera è dunque simbolo di resistenza collettiva.
"Dall'oltretomba al cielo", tecnica mista, 2018
La riflessione attorno all'identità e al corpo, che porta Shendra Stucki a autorappresentarsi in situazioni e contesti diversi, e attraverso medium diversi, e a cui si è accennato in precedenza, è invece presente sia nelle sue installazioni sia in collages e disegni.
Avviene questo ad esempio nell'opera Le cri- the Scream (2011) realizzata per un'esposizione organizzata dalla Galerie C a Neuchâtel. Il punto di partenza nella creazione di questa installazione è una riflessione sui motivi per cui urliamo o gridiamo contro qualcuno. Il soggetto dell'opera è infatti l'urlo di un uomo nei confronti di una donna, urlo che viene rappresentato attraverso dei fili di lana rossi che collegano l'uomo alla donna, raffigurata attraverso un autoscatto dell'artista. La donna guarda in alto, non osserva il suo aggressore, e ha la bocca bloccata a simboleggiare l'impossibilità di rispondere. Dal petto della donna si diramano cavi elettrici colorati, cavi che diventano il suo mezzo per comunicare con il modo e paiono simili a vene o arterie che scendono verso il pavimento e verso l'osservatore. Il flusso di comunicazione della donna non passa dunque attraverso l'oralità, attraverso le parole, ma è un flusso emotivo che sembra essere il suo unico strumento per comunicare con il mondo. L'installazione porta in scena un cortocircuito emotivo da cui sembra non esserci via di scampo e, se il tema dell'opera pare ancora una volta essere il rapporto con gli altri, la connessione tra due persone che può generare una carica positiva o negativa, in questo caso è presente anche una riflessione sull'io e sul ruolo che l'io impersona in questo scambio ininterrotto con l'ambiente. Non può infatti essere un caso che la donna raffigurata nella fotografia sia l'artista stessa, che entra attivamente nel circuito che ha creato portando in scena i suoi traumi e la sua esperienza personale.
Accompagnano l'installazione due serie fotografiche e una proiezione video su una tela su cui è raffigurato il volto di una ragazza - ancora una volta l'artista stessa - che urla disperatamente. La tela è immersa in un bacino che contiene del liquido rosso, così come rosse - a simboleggiare il sangue - sono le gocce proiettate sulla tela che scendono lentamente sul volto della ragazza accompagnate dal suono delle urla di bambini eccitati per il gioco a cui stanno partecipando.
"Le cri - The Scream", tecnica mista, 2011
Così come l'identità è in procinto di modificarsi e di subire delle trasformazioni nei rapporti interpersonali, quella stessa identità entra in relazione anche con l'immaginario e gli ideali della società, con i suoi stereotipi e i suoi valori. Emblematica in questo senso è l'opera Pietà in cui l'artista si autorappresenta nuda in braccio a un gigantesco orso di peluche. La scena è una chiara allusione, certamente provocatoria e critica nei confronti della società occidentale, alla celebre Pietà di Michelangelo, con l'artista nei panni di Cristo e l'orso nei panni della Vergine Maria. L'opera lascia aperte le più varie interpretazioni. Siamo figli di una società dell'intrattenimento e del consumo? L'artista si sacrifica per squarciare il velo che abbiamo davanti agli occhi ma non può che perire in una società dei consumi?
Ogni interpretazione è aperta e, in fondo, ogni forma d'arte non deve dare risposte, ma fornire nuove, scomode domande.
"Pietà", fotografia, 2018
Shendra Stucki nasce nel 1987 a Penrith, Australia e cresce a Carona, nella Svizzera italiana.
Nel 2006 consegue la maturità artistica cantonale presso il CSIA e nel 2010 ottiene il Bachelor in arti visive presso L’Ecole Cantonale d’Art du Valais, a Sierre. Grazie al suo lavoro di diploma inizia ad essere notata nel campo dei festival di arte contemporanea e quindi invitata ad esporre le sue opere in diverse città europee.
Al contempo collabora con diverse compagnie teatrali occupandosi del montaggio delle scenografie e della regia luci.
A dicembre 2011 tiene la sua prima esposizione in Svizzera, alla Galerie C di Neuchâtel e nello stesso mese la RSI trasmette un documentario sulla sua arte nel corso della puntata di CULT TV 46. A luglio 2012 espone a Ptuj, Slovenia, per il festival di arte contemporanea ART STAYS.
Tra il 2013 e il 2014 inizia una collaborazione con la rivista MAG, dedicata ai creativi ticinesi.
Dopo aver vissuto a Berlino e a Praga, si trasferisce in Messico, dove attualmente vive.
Dal 2014 è tra i giovani talenti rappresentati dalla Five Gallery di Lugano.
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