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Carnet de voyage #5: Corea del Sud

di Davide Stefanetti


Fotografia di Andrea De Santis




19 maggio 2023, ore 20.37

Corea del Sud



Mi ritrovo sul secondo volo nel giro di una settimana, era dal 2019 che non prendevo un aereo, credo di aver recuperato.

È la mia prima vacanza in Asia, la prima volta così ad est, la prima volta con un anello al dito.

Non mi ci sono ancora abituato, ogni tanto mi ritrovo a toccarlo e a rigirarlo intorno all’anulare. La sera, quando le dita sono meno gonfie, me lo sfilo e lo guardo da vicino, di giorno mi limito a tastarlo.

Dal finestrino si scorge lieve la luce arancio dell’orizzonte e più in basso le luci di qualche città coreana ignota. Stando alla cartina sul monitor del sedile tra poco saremo sopra il mar Giallo, volando verso Hong Kong, verso la prossima avventura.


Il tempo a Seoul è volato, i giorni e le notti sono trascorsi veloci ma senza fretta, come le stazioni della metropolitana che abbiamo superato stando attenti alle coincidenze e ai cambi.

Sui vagoni siamo passati inosservati, erano tutti chini sui propri smartphone, pure le nonnine acconciate interamente allo stesso modo.

Non riesco a quantificare i chilometri e il tempo passati sui binari sottoterra, la città è immensa e le attrazioni e i punti di interesse sono sparsi ovunque, impossibile fare altrimenti.

Al mattino, così come dopo le otto di sera, i vagoni sono mezzi vuoti, ci si siede comodi e ci si perde nelle scritte in Hangeul (한글), aspettando i jingle e i nomi delle stazioni annunciate in inglese.

Il senso di pace svanisce appena dopo l’orario di chiusura degli uffici, il silenzio e la tranquillità lasciano il posto ad un fiume in piena che inonda le rampe delle scale, picchiando rumorosamente i piedi e riempendo le banchine colme.

All’arrivo dei treni già saturi è complicato sia scendere che salire, non si bada più all’etichetta, non ci si inchina e l’unico obiettivo è raggiungere la propria meta.

L’aereo traballa un pochino, nulla in confronto alle turbolenze affrontate all’andata su un vecchio Boeing 777.

Le oscillazioni però si abbinano bene a questi primi ricordi di Seoul, la città è un continuo saliscendi di colline, molte delle quali incredibilmente verdi, ed è circondata da montagne brulle. Dal quartiere del nostro albergo era sempre ben visibile la collina di Namsan, boscosa e pacifica, sormontata dalla torre della televisione, affascinante a qualsiasi ora del giorno e della notte, specialmente sorseggiando un espresso martini forse troppo zuccherato da un rooftop bar nascosto.

Grattacieli, complessi residenziali formate da decine di torri alte 30 o 40 piani o forse più e piccole abitazioni, modeste nell’aspetto e nelle finiture. Un caffè al piano terra, un ristorante a quello superiore, la vita qui si sviluppa sempre ben oltre il livello del marciapiede.

A Gangam, a sud del fiume, sembra che il terzo piano di tutto il quartiere sia prerogativa degli studi di chirurgia estetica, a Hongdae invece il terzo piano è spesso un karaoke bar, mentre le luci al neon illuminano a giorno una strada piena di masse di studenti destinati all’ennesima serata di baldoria.

Ci sono antichi palazzi freschi di ricostruzione post bellica, templi buddisti e auto lussuose che sfrecciano lungo i viali a 10 corsie.

È un meraviglioso caos stracolmo di ordine e senso della misura, di vicoli maleodoranti e creme di bellezza, dove i profumi del caffè si mescolano a quelli dei ristoranti tradizionali di griglia e le preghiere in un monastero armonizzano con musica k-pop e i balli degli artisti di strada.

L’aereo continua il suo volo a 35000 piedi di altezza sopra il mare, la notte è calata e il buio fuori è profondo come non mai, tranne che per le luci sull’ala.

Al museo nazionale di Seoul si sono inventati un robot per accogliere ed assistere i visitatori, qui ci sono addirittura delle stelle artificiali per accompagnarci durante il volo e verso l’atterraggio.

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