di Davide Stefanetti
25 maggio 2022, ore 19.24
Sicuramente l’ennesimo lungo viaggio in treno, lungo la sconfinata campagna polacca, non ha aiutato.
Il vento e la pioggia che mi hanno accolto non sono di certo serviti a predisporre il mio spirito alla voglia di fare.
Ma alla fine, senza ombra di dubbio, è stata la massa di gente in fuga, bloccata ai punti di informazione, immobile in coda per ottenere un biglietto ferroviario e così riprendere la propria fuga, ad atterrarmi il morale.
Sono circa tre mesi che leggiamo quotidianamente informazioni riguardo alla guerra in Ucraina, della distruzione e di tutte le persone costrette ad abbandonare la propria casa, la propria nazione, la propria vita.
Certo, anche a Lugano abbiamo visto gente scappata dalla guerra, ma vedere una donna, o un uomo, pressappoco della mia età alla guida di un lussuoso SUV tedesco, non mi ha lasciato un profondo senso di disperazione.
Eppure credo che stiano soffrendo pure loro. Nessuna dimora prestigiosa, nessuna comodità potranno mai ripagare quanto viene sottratto dalla brutalità di una guerra
Sono genuinamente certo del loro dolore, ma l’effetto è completamente diverso quando sei testimone di centinaia di persone in balia degli eventi, talmente esauste da non avere nemmeno più un briciolo di stanchezza nei loro sguardi.
Esseri umani in coda, davanti a loro una valigia piena di nulla, visto che la guerra si è portata via tutto.
Dei sacchi blu IKEA che contengono pochi abiti, ma che non terranno quelle quattro cose all’asciutto da questa fredda pioggia.
Da una gabbietta provengono incessanti miagolii di uno spaventato ma bel micio grigio.
Nonostante il continuo parlare nell’atrio della stazione, il susseguirsi di domande, di risposte, di leciti lamenti, di paure espresse a gran voce in una lingua che non capisco, i suoni del gatto sembrano essere l’unica cosa udibile.
È un suono incessante che acuisce la disperazione, oppure, solo per un istante, aiuta a sognare un morbido e caldo abbraccio a chi negli ultimi tempi ha sperimentato solo la gelida durezza della guerra e della fuga.
***
25 maggio 2022, ore 22.38
Quando entri in un locale di una delle zone più hip, più alla moda, di Varsavia sai già cosa ti aspetterà.
Forzatamente alternativo, il trionfo della mia generazione.
Ti immagini un paio di ragazzi pallidi ed eccessivamente magri al bancone, vestiti in maniera forzatamente orribile con cappellini da ciclista vintage ancora peggiori.
Ti aspetti un'architettura degli interni così bella da superare ogni tua già alta aspettativa.
Musica a volte discutibile ma comunque coinvolgente.
Turisti tedeschi alticci e chiassosi e bionde mozzafiato accompagnate al figo di turno.
E va proprio in questo modo.
Al bancone ci sono due scheletrici ragazzi così pallidi che nemmeno una vita in una cripta avrebbe mai potuto rendermi così eterei.
I berretti che indossano sono orribili, il peggio che la peggior moda possa aver mai proposto.
La scelta dell'arredamento e il locale in sé sono definitivamente magnetici.
Ci sono tre ragazzi tedeschi alticci e rumorosi, coprono la musica gradevole con le loro grasse risate ed i loro discorsi sconclusionati (non che capisca molto), le bionde ci sono e sono mozzafiato.
Tutto come previsto, ma questa sera c’è qualcosa in più.
Ad effettuare il servizio al tavolo ci sono tre o quattro ragazzi di colore, gli unici che abbia visto in una città di quasi due milioni di persone e dannatamente omogenea etnicamente.
Scambio, incuriosito, qualche parola con loro, fortunatamente parlano un inglese decisamente ottimo.
John e Chris vengono dalla Nigeria e prima dello scoppio del conflitto studiavano a Kiev economia. Entrambi al terzo anno, purtroppo pure loro sono dovuti scappare.
John mi racconta che domani riceverà i documenti che gli permetteranno di concludere i propri studi qui a Varsavia.
Ha un sorriso contagioso, sembra felice, è innegabile.
Chris, dal canto suo, sembra essere decisamente di meno parole, è più dimesso, non so se centri con la fuga dall’Ucraina, se sia stato colpito maggiormente.
Il sorriso di John sembra d’un tratto in grado di cancellare il dolore che ho visto oggi in stazione, ha riempito di speranza il brusio, il miagolio incessante del gatto rinchiuso nella propria gabbietta, ha donato un briciolo di dignità all’esistenza umana.
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