di Davide Stefanetti
Il 16 giugno 2015, dalla Trump Tower di New York City, Donald J Trump ha annunciato la propria “discesa in campo” candidandosi per le elezioni presidenziali del 2016 per il partito repubblicano. Nel discorso che ha seguito l’annuncio, Trump ha dichiarato che il sogno americano era morto e lui l’unica persona in grado di aggiustare le cose, lottando contro le élites di Washington, la competizione cinese e costruendo un muro al confine con il Messico, rendendo così l’America di nuovo grande.
Quello che poi si è susseguito, per circa un anno e mezzo, durante le primarie del partito repubblicano, nonché nei dibattiti con la candidata democratica Hillary Clinton, altro non è stato che un inasprimento dei toni focalizzato, principalmente ma non solo, sulla messa in sicurezza della frontiera meridionale con la costruzione del famigerato muro, limitando così l’immigrazione negli Stati Uniti. Trump, in uno dei numerosi discorsi fatti in campagna elettorale, affermò che il Messico non inviava negli USA i suoi migliori cittadini, bensì spacciatori, stupratori, criminali. Propose inoltre un bando all’immigrazione di diversi stati a maggioranza musulmana, cosa che poi fece una volta eletto Presidente, emettendo il cosiddetto “muslim ban”. Gli ordini esecutivi limitanti l’ingresso al paese sono stati riemessi più volte durante la durata del mandato.
Questo focus sul porre un freno all’immigrazione, legale e non, non è stato una prerogativa del solo Donald Trump, presto molti altri politici americani del partito repubblicano, fossero essi in corsa per la camera dei rappresentanti, il senato o una poltrona di governatore, hanno iniziato a seguire una linea dura sull’immigrazione, replicando il punto di vista del presidente e riuscendo a far leva su un elettorato sempre più polarizzato e caduto in una sorta di culto. Bastava nominare il muro al confine con il Messico e ottenere un endorsement da parte di Trump, questa era la ricetta per il successo elettorale da parte dei candidati del partito repubblicano.
E grazie a questa retorica infuocata, nonché a leggi draconiane sull’immigrazione, alla frontiera sud degli Stati Uniti si sono formati campi di rifugiati, le famiglie sono state separate al confine, con bambini minorenni lontani dai genitori e flussi migratori gestiti mediante veri e propri campi di internamento dotati di gabbie, sbarre e tutto il necessario per rendere più reale il terrore.
In Arizona le guardie di confine a cavallo davano la caccia ai migranti coadiuvate da milizie di privati cittadini pronti a fermare l’invasione.
A El Paso, Texas, una città posta sul confine statunitense-messicano lungo il fiume Rio Grande, il 3 agosto 2019 un ventunenne uccideva in un centro commerciale 23 persone, ferendone altre 22. Il ragazzo aveva preso di mira la numerosa comunità latinos e ha agito per fermare il “rimpiazzo” di cittadini americani con i migranti. Aveva pure pubblicato un manifesto dichiarando le proprie intenzioni poco prima di commettere il massacro.
La pesante retorica atta a fomentare paure e insicurezza alla fine ha dato i suoi frutti velenosi: siano milizie a caccia di migranti o atti terroristici, il senso di insicurezza paga in cabina elettorale ma punisce in maniera sproporzionata la società intera.
Questo genere di approccio, tuttavia, non è una prerogativa dei soli Stati Uniti, anche alle nostre latitudini abbiamo avuto fulgidi esempi di movimenti e partiti politici che devono la loro stessa esistenza a programmi anti immigrazione e all'insistenza sulla debolezza dei confini nazionali.
Il Fronte Nazionale (ora Raggruppamento) in Francia, l’Afd in Germania o Fidesz in Ungheria sono solo alcuni esempi di come la retorica estremista e lo sfruttamento delle insicurezze della popolazione siano la chiave per avere accesso alle stanze dei bottoni. Partiti che fino a pochi anni fa non avrebbero avuto la minima possibilità, oggi hanno parlamentari eletti, dominano il panorama politico di alcune regioni o addirittura ricoprono il ruolo di premier.
Ma anche in Svizzera le cose non sono così diverse.
In preparazione alle elezioni federali del 22 ottobre, il partito maggiormente rappresentato al Nazionale con 53 deputati (26.5 %) e con 6 “senatori” al Consiglio degli Stati, ha deciso di giocare le solite carte. Questa volta invece di pecore bianche che cacciano quelle nere, di ratti (UDC sezione ticinese), il partito della gente – SVP, Schweizerische Volkspartei – ha deciso di rincarare la dose di terrore da fornire all’elettorato.
Durante la campagna elettorale nella bucalettere ho ricevuto il manifesto del partito: “Edizione Straordinaria”. In prima pagina girava uno dei soliti slogan sul perché non si vuole una Svizzera da 10 milioni di abitanti con tanto di barriera a proteggere l’incontaminato ed idilliaco suolo elvetico. Fin qui nulla di nuovo, ma senza fermarsi ai soliti proclami e guardando un po’ più in profondità, ho dovuto rileggere bene un paio di volte i contenuti per assicurarmi che non si trattasse di uno scherzo.
Ad esempio si parlava di come la Confederazione spenda per le politiche di asilo 4 miliardi di franchi, senza specificare la fonte di questa informazione e aggiungendo che a Basilea una donna di 46 anni era stata violentata da un richiedente l’asilo. Il che è una tragedia in cui la giustizia dovrà intervenire con le misure adeguate e previste dal codice penale, ma lo è anche il fatto che subito accanto al trafiletto si proclamava che nella Confederazione giungano (senza essere espulsi) migliaia di giovani afgani, turchi e africani, causa di furti, molestie e violenze.
In prima pagina si annunciavano a gran voce le seguenti prossime problematiche se non si fosse votato UDC: la proibizione del consumo di carne, il divieto di guidare e le figure stilizzate maschili sarebbero sparite dai cartelli stradali! Il sistema scolastico sarebbe progressivamente deteriorato a causa della ideologia gender, visto che attualmente circa un quarto dei diplomati non sa leggere, scrivere o fare calcoli correttamente.
Senza un freno all’immigrazione sarebbero mancati alloggi e al contempo sarebbe cresciuta la cementificazione (un bel paradosso), con altri problemi non ben specificati nelle scuole e violenza nelle strade.
Un quadro decisamente a tinte fosche.
Ma la ciliegina sulla torta, forse il vero game changer, è arrivata da Piero Marchesi che pochi giorni prima delle elezioni ha presentato una mozione al Consiglio Federale che sembrava presa da un manuale trumpiano, chiedendo sostanzialmente l’invio dell’esercito al confine sud con l’obiettivo di ripristinare la sicurezza dei cittadini. Richiesta che pure campeggiava in prima pagina anche sul sito internet del partito. Insomma, avere una specie di Texas in salsa ticinese: un polenta western!
È evidente che ogni partito politico abbia una sua identità, un modo di comunicare con la propria base e degli obiettivi e valori nei quali crede, ma bombardare l’elettorato con messaggi talmente assurdi da sembrare per forza veri, capitalizzare su paura e insicurezza, colpendo alla pancia – nessuno che pensa ai nostri figli – è meschino e cerca solo di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo.
E così è stato.
L’UDC è risultato il vero vincitore di queste federali guadagnando quasi tre punti percentuali e riuscendo ad erodere terreno in Ticino alla stessa Lega dei Ticinesi.
E i risultati hanno talmente ringalluzzito i democentristi nostrani da richiamare i passati successi di tiro al bersaglio alle roulotte di nomadi a Balerna .
La situazione politica mondiale dovrebbe fare da monito; se davvero ci teniamo alla sicurezza e al benessere delle persone è giunto il momento di smetterla di fomentare paure e divisioni, continuando a tirarla, la corda si spezza e il gioco è finito per tutti.
La vita è costellata di problemi e difficoltà reali che non si possono risolvere inventandosene di nuovi e più assurdi per infangare le acque senza cercare soluzioni vere e durature.
Il problema della migrazione, se si vuole affrontarlo seriamente, va affrontato nelle aule di parlamento, in commissioni specifiche insieme ad esperti e studiosi del tema, non in una piazza urlando alla popolazione idiozie per spingerla a fare la crocetta che ci fa più comodo.
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