Linda Baranzini nasce a Faido nel 1987.
Cresce a Bellinzona, e dopo il Liceo si trasferisce a Ginevra per studiare letteratura italiana e storia. Ottenuto il Bachelor, frequenta per un anno l’Università di Friborgo, studiando medicina, per poi tornare sui propri passi e laurearsi in italianistica a Bologna nel luglio del 2016 con una tesi in Sociologia della Letteratura (“Sofferenza, malattia e guarigione nella letteratura della migrazione in Italia”). Già a partire dai primi anni di studio svolge numerose supplenze nelle Scuole Superiori e Medie del Cantone, e vorrebbe diventare insegnante, motivo per cui sta frequentando un Master alla Supsi di Locarno per l’insegnamento dell’italiano nella Scuola Media.
Nel 2006 è arrivata finalista al Premio Campiello giovani con il racconto “Finire oltre un diario” (I giovani del campiello, Venezia, Marsilio) e nel 2012 alcuni sui testi poetici vengono pubblicati in un volume collettivo (Mario Luzi. Gli inediti del premio internazionale, Roma, Fondazione Mario Luzi). Nel 2018 esce la sua prima raccolta poetica: Solo vorrei ammirare lungamente, diario dal Nicaragua, edito alla Chiara Fonte.
Qui proponiamo una selezione di sue poesie.
POESIE PER NIO
1)
Fagiolino mio
che sei lì dentro a inventarti un cuore e un cervello.
Fagiolino mio, che hai la coda
e ti fai corpo dalla mia carne;
fagiolino mio
piccolo come una capocchia di spillo
fagiolino mio dalle cellule contate
che sei fragile come un’unghia che si rompe
e inizi il tuo viaggio qui
che tu non sai ma come tutti i viaggi
è viaggio che finirà.
Fagiolino mio che sei più debole di un pensiero
e intanto spazzi via il vecchiume della mia vita
fagiolino che inizi a battere un ritmo che sarà solo tuo per sempre
che fai impazzire il mio fidanzato
e mi obblighi a parlare di te.
Sei un grumo di cellule antropomorfo
rosso e contratto in me
che mi sembra di volare.
2)
È possibile che tu stia arrivando
come invece che sia ancora lontano
hai compiuto un lungo viaggio
ed ero con te fin dal primo istante.
Ora forse stai scendendo
alla tua vita in questo mondo
o solo mi riscuoti
in questo primo tuo percorso acquatico.
Sono qui per te.
La notte è fresca finalmente
lontano corre un ruscello
la luna, calante risplende
con poche stelle.
Deboli cinguettii
annunciano l’alba imminente
la brezza remota tra le foglie di una palma
mi lascia respirare dal profondo
di questa mia natura amata.
Suona poi
lo scaccia spiriti.
Infine un corvo
sorvola questa casa
gracchiando tre volte.
Velocemente
cresce la luce
il giorno si succede
alla sorella notte.
3)
Fai sentire al bosco il tuo pianto
regala i tuoi strilli alla cascata
ribellati dal muschio, dalle felci
dal fumo e dalla nebbia
che annunciano l’autunno.
Ritrova quel verde del tuo cuore
il morbido giaciglio dei folletti
che osservano le fate in controluce
i nani sotto le radici degli abeti
le farfalle nelle cortecce
nei raggi del sole di settembre.
Così mentre ti accolgo
sono pronta a lasciarti andare.
Così mentre ti lascio andare
sono pronta ad accoglierti.
4)
È dura abbandonarsi a te, Nio
cercare in te un maestro
e dimenticare il resto: la vita prima.
Chiudere come un grosso e pesante libro polveroso e reinventarsi
con la creatività che abbiamo avuto insieme
mentre tu cercavi le tue forme, le tue ossa, le tue terminazioni nervose,
la filigrana delle piccole mani, il suono dei sorrisi
l’ampiezza dello sguardo e un tuo temperamento nelle mie viscere, in mezzo a pezzi di me.
Eri un grumo di cellule abbracciato da altre cellule. E non facevi niente.
Ora tutta questa quotidiana urgenza
questo mio correre e rincorrere qua e là
è fuori luogo. Doloroso il tuo fare corpo
per vivere. Io testimone, di fronte a questo crescere Meraviglioso
a questa quasi violenta trasformazione
timidamente m’illumino...
Ma una vecchia me impassibile resiste
resiste, resiste, resiste.
Osserva da lontano e non batte ciglio
tiene le labbra strette.
Questa tipa mi preoccupa,
vorrei prendesse il volo
come nei miei disegni
o scoppiasse, come una risata.
ZURIGO, DIALOGO ALLA STAZIONE
Svizzera, tempo, binari, affollamento.
Nel silenzio di una stazione ferroviaria e sui giornali
cimiteri di sigarette sotto i treni, emicranie.
Vedi un graffito, uno scarabocchio -qualcuno beve
nessuno batte ciglio- adulti dicono.
L’uomo seduto si avvicina alla cartella fucsia e lei si sposta,
così un pazzo e un indifferente iniziano a parlare.
“Io non credo nell’intonaco, per questo continuo a dipingere
e mi faccio chiamare imbianchino”.
-E potevano benissimo essere le parole dell’uomo lì accanto, che continuava a cantare per strada e a spacciarsi per musicista, giustificandosi con un contrabbasso, senza avere uno straccio di spartito.- L’altro non rispose, e lui aggiunse sogghignando, come un sogno in cancrena:
“Per questo possiamo continuare ad andare al lavoro al mattino, ad amarci tra uomini e donne, a badare che i figli crescano bene, a fare la mazza del maiale quando è necessario, tenendo bene la casa, senza avere né padre né madre”.
Così l’uomo delle contraddizioni lasciò cadere le sue contraddizioni, ma l’emicrania rimaneva, tra la pazzia e l’indifferenza, come un cratere, a Sarajevo, nel 1992.
Rompere legami, crearli.
Dove tutto vale il contrario di tutto, anche la guerra,
accorgersi che questo benessere sentito alle radici
è un malessere che sento nelle foglie.
LE FINESTRE SUL CORTILE
Avessi perso il santuario,
avessi abbandonato anche la fede
-delusa da una donna senza volto- e potessi saldare ancora
volendo, il solco di questo dolore con un sogno senza leggi.
Rispondimi, se questa vita è una partita persa?
“Fragile, testarda. Sarebbe più facile
l’una senza l’altra. C’era tuo padre,
questa passione, tua nonna che rimpiangeva
la baita e le notti d’estate - così forte ci amava lei.
Dopo è arrivato il cratere, loro, il salto e quella paura
ghiacciata come una morsa,
bombe, mitra, il nucleare. Troppo facile
piuttosto che farci da parte. Se nelle sabbie
ho trovato voi, questi coralli
è per essere stati felici, compagni, amanti,
diamanti per tutta la vita. Da piccoli
si toglievano i bimbi abortiti dai morti futuri,
si soffiavano i fantasmi in bolle di sapone,
si facevano biscotti allo zenzero per dimenticarsi di loro,
e sbriciolarli nel canale dalle finestre sul cortile.
Io e i miei sei fratelli saremo
più forti di questa vecchia casa.
L’avessimo detto prima,
nascosti da una donna senza volto che resta distante come una tangente,
minaccia se non ci difende. “Non la vogliamo”,
l’avessimo detto prima, coi nostri sguardi segreti,
per tenerci lontani da questo
livido di assomigliarsi che è solo
il vizio di un trauma, l’abitudine della paura.
“Lei, questa fede a scacchiera che ora promette a noi come tradisce,
quella legge vertiginosa che non vogliamo.
La guerra è una partita persa che non ha inizio,
la vita è un’infanzia stupenda,
un sogno senza squarci fra le false fedi.
L’amore, la paura.”
RIFLESSIONE SUL MOMENTO PRESENTE
Camminando lontano dal centro
senza tenerci la mano
sai cosa sono mentre non sai chi ero
trovi l’albergo che mi promettevi
togliendomi una rosa, tendendomi la mano.
Camminando in mezzo al paese
tendendomi le mani
quando sai chi saremo non sai chi sono
entri nel sogno che ci accerchiava
togliendomi un cerchio, tendendomi una rosa.
Aspettando l’alba e nuove notti
cammini intorno a me,
sai cosa siamo nel momento in cui sai chi eri
hai tre rose, un cerchio
e un’unica gravità.
Aspettando l’alba e nuove notti
cammini intorno a lei,
sai cosa siete dal momento che sai chi eri
hai una rosa, due cerchi
e un’unica gravità.
Aspettando quell’alba senza più notte
hai un triplo segno, due cerchi e una sola donna
hai un triplo segno, due cerchi e una sola notte.
SENZA TITOLO
Quando il vento soffia così forte
sembra quasi avercela con noi.
Ma non lo capisci che era solo un gioco
e io cercavo di dirti vieni via
vieni via da quel dolore.
LA SIRENA
Il canto delle sirene arriva da lontano
e non ha spiegazioni, è il canto del mare.
Lo puoi sentire in una vecchia
conchiglia se fai attenzione, è sempre uguale.
Si ritrova anche in uno sguardo distratto
lungamente giace sul fondale e se per caso
davvero sirene mezze umane
solcano i mari
come orche… ritrovato è il nostro pezzo
mancante che vorrebbe
camminare a piedi scalzi sulla sabbia
uccidere il pesce con fiocine di ossa
intagliate da mani quasi umane.
E quasi mi sembra di sentire
forme di nostalgia del mare e dei suoi flutti
dell’alga sulla pelle.
Mistero celato per sempre
portato nelle sue immense acque
come una donna gravida.
Se potessi sceglierei di essere
sirena lontano
da certi pensieri alienanti
di polvere, di terra.
IL VECCHIO
E torno al momento presente: c’è un tavolo di legno in un parco
un vecchio signore dai capelli grigi e l'aria trasandata
siede su una panchina, si guarda intorno, beve, altro non fa.
Lo sento in qualche modo vicino.
Nell'aria voli di uccelli
il passero lancia il suo richiamo e cupa
la voce del cuculo intermittente arriva.
Il vecchio se n'è andato.
Restano solo due altalene, un po' di sole
le foglioline festose di un albero qui accanto.
Emozioni pure, chapeau.