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Di poetry slam, Marcuse e spazi culturali

Aggiornamento: 28 nov 2020

di Grazia Rosato


Quelli che dichiarano ciclicamente che la poesia è morta sembra che non siano mai scesi dalle cattedre o usciti dalle aule scolastiche, perché altrimenti si sarebbero accorti che la poesia, sempre accusata di attrarre pochi lettori e la cui morte è ormai leggendaria, ha invece trovato il modo di reinventarsi e di trovare nuove modalità per entrare in contatto con il pubblico. Basta infatti percorrere le strade e gli eventi indipendenti di poesia sparsi soprattutto nella penisola italiana, ma presenti anche in Ticino, per rendersi conto che la poesia non è mai stata così viva, o forse più che viva, non è mai stata così vissuta, che forse è diverso. Se il panorama ticinese è meno audace rispetto all’Italia, perché tende spesso a riproporre - salvo poche eccezioni - nomi noti dando poco spazio a voci che non siano in qualche modo già considerate autorevoli e inserite in quello che può essere chiamato un “canone della poesia della Svizzera italiana”, la vicina Italia è invece ricca di collettivi – ce n’è uno o a volte anche più di uno quasi per ogni regione - che si occupano di poesia e la fanno vivere soprattutto attraverso l’oralità nella forma del poetry slam.

Anche in Ticino è però arrivato, grazie a Marko Miladinovic, quel fenomeno culturale e poetico chiamato poetry slam e anche in questa terra periferica, in cui ogni novità arriva un attimo dopo come un’eco di esplosioni avvenute altrove, esso ha saputo ridare nuova linfa alla poesia facendo sì che nuove persone vi si appassionassero.


In queste righe, come avrete capito, si parla dunque proprio di poetry slam, ma non solo del poetry slam in sé, ma anche del suo poter essere assunto a paradigma di un certo modo di intendere la cultura. Prima di riflettere sui motivi per cui si può affermare che il poetry slam è come una scossa elettrica rinvigorente per la poesia, una scossa capace di generare dibattiti e polemiche, occorre però spiegare i meccanismi di questo format.


Creato negli anni Ottanta a Chicago da Marc Kelly Smith e giunto in Italia nei primi anni Duemila grazie a Lello Voce, è una competizione poetica che prevede che degli autori leggano dei propri testi originali, senza l’ausilio di musica o oggetti di scena, davanti a un pubblico votante e per un tempo massimo di tre minuti a testo. Si tratta dunque di performance poetiche che permettono a chiunque abbia voglia di farlo di condividere un suo testo con il pubblico.


Il poetry slam, definito da Marc Kelly Smith un "dispositivo teatrale"[1] è dunque un medium, un format particolare che consente ai poeti di mettere in atto delle performance che vengono giudicate qualitativamente da un pubblico più o meno avvezzo alla poesia.

Fin dalla descrizione del meccanismo del format, appaiono chiari alcuni dei motivi per cui esso ha permesso alla poesia di rinnovarsi e di parlare finalmente a un ampio pubblico, ma vale comunque la pena di riflettere un momento anche su ciò che magari a qualcuno può sembrare scontato.


Ritorno all'oralità

Il poetry slam permette alla poesia di rinnovarsi senza però perdere la propria identità in quanto la forma della competizione orale tra poeti è sì adolescente nelle regioni geografiche in cui si parla italiano, ma consente al contempo alla poesia di tornare alla sua forma originale ossia all'oralità. La poesia nasce infatti nell'antichità come fenomeno orale e ha, in questo senso, un legame stretto con la musica e con il suo ritmo.

Questo tipo di format - anche se occorre sottolineare che non si tratta dell'unica dimensione della poesia performativa - restituisce dunque alla poesia la sua veste originale, obbligando inoltre il poeta a non dare importanza solo a aspetti metrici e fonetici, ma anche all'interpretazione dei propri versi.


Inclusione e democratizzazione

Un secondo motivo di rinnovamento della poesia consiste nel fatto che il poetry slam è altamente democratico e inclusivo, nel senso che chiunque scriva testi propri può avere la possibilità di performarli o leggerli davanti a un pubblico. Non ci sono censori, critici, maestri che decretino a priori se un poeta - termine d'altronde di difficile attribuzione e definizione – sia effettivamente tale. Il giudizio è a posteriori, dopo lettura, e viene lasciato al pubblico che giudica esclusivamente e soggettivamente il piacere provato nell'ascoltare quella o quell'altra poesia.

Se l'inclusività e la democraticità del format - sia rispetto ai poeti sia rispetto al pubblico - sono certamente aspetti che hanno contribuito a un rinnovamento dell'interesse verso la poesia, restano però aspetti particolarmente problematici - dato che a un pubblico non specialistico è affidato un giudizio sulla qualità dei testi - che hanno generato, soprattutto nell'ultimo anno, non poche polemiche riguardanti l'effettiva qualità poetica dei testi portati agli slam.


Comunicazione pluridirezionale

Il poetry slam restituisce ai poeti il contatto con il pubblico, con la gente, contatto impossibile attraverso la lettura solitaria di un libro nella propria stanza. A differenza dei reading tradizionali, la comunicazione non è però unidirezionale, ossia dal poeta verso il pubblico, ma acquista la dimensione dello scambio, del dialogo.

Il pubblico non subisce passivamente i contenuti, ma può esprimere in maniera attiva il proprio disgusto o il proprio apprezzamento; egli può esprimersi e non diventa un semplice fruitore, bensì si trasforma in una sorta di specchio non muto che restituisce al poeta un’opinione, un’immagine di sé e dell'altro.

Il poetry slam permette dunque di creare un canale comunicativo e emotivo diretto tra il poeta e le persone che ne hanno ascoltato i testi, consentendo quindi alla poesia di incarnarsi, di esprimersi anche attraverso il corpo e la voce.


Strumento di aggregazione sociale

Attorno ai poetry slam si è andata via via creando una vera e propria comunità di persone che condividono progetti, si scambiano opinioni, si confrontano sulla poesia senza gerarchie e pregiudizi.


Bollettino dal margine

Questo format porta inoltre la poesia fuori dai circuiti ufficiali, quelli delle presentazioni autorevoli in libreria o in biblioteca, quelli delle conferenze, quelli delle aule scolastiche in cui la poesia è ormai considerata qualcosa da studiare per forza, qualcosa di deprimente che gli studenti vivono spesso come un'imposizione. Il poetry slam porta la poesia nelle piazze, nei parchi, nei centri sociali e culturali, nei piccoli bar e locali. Facendo questo la fa straripare dagli argini che si sono costruiti attorno ad essa, argini che l’hanno relegata a linguaggio da specialisti, da intellettuali, da studiosi, e le fa inondare quei campi forse vergini di poesia che sono i giovani e tutti quelli che di poesia avevano fino a quel momento solo un’idea scolastica e la consideravano, forse, vecchia e spesso noiosa.

Uscendo dai circuiti ufficiali e accademici, il poetry slam propone una poesia che non rientra nel canone, una poesia libera che diventa, anche suo malgrado, voce dissonante, narrazione del reale da angolazioni differenti e in particolar modo dal margine, dalla periferia della narrazione ufficiale.


In quest’ultimo senso, il poetry slam è paradigma di un certo modo di fare cultura che a Lugano, negli ultimi anni, ha trovato spazio e ha cominciato a diffondersi, seppur con qualche difficoltà. Le ragioni per cui questo format ha dato nuova linfa alla poesia sono ragioni che, generalizzate, mostrano come esista un modo di fare cultura profondamente diverso rispetto ai soliti canoni; in questo senso esso diventa paradigma del modo in cui una cultura libera trova spazio all'interno di un contesto sociale e si esprime e manifesta. Spazi nati a Lugano come il Morel, il Turba, il CSOA il Molino, Sonnenstube - seppur con intenti differenti sia artistici sia politici o apolitici – condividono quelle che sono le caratteristiche più vitali e nuove del poetry slam e una certa idea di cultura.


Herbert Marcuse, ormai cinquant’ anni fa, scriveva ne L’uomo a una dimensione che la società contemporanea tende a inglobare ogni forma di opposizione, ogni forza che le si contrappone, integrandola all'interno del suo sistema e di fatto togliendole il suo potere sovversivo e critico. Questi spazi indipendenti, e lo si vede bene nella difficoltà di trovare un punto di incontro tra molti di essi e la città di Lugano, mantengono invece una loro forza critica e rimangono spazi aperti a tutti, in cui ogni voce è accolta e in cui le proposte culturali vengono portate avanti dal basso, in una comunicazione continua tra gli spazi e chi li frequenta. Come avviene nei poetry slam, in questi luoghi regna una libertà che consente una narrazione diversa della realtà, una narrazione che non viene giudicata a priori ma autogiustifica se stessa grazie all’interesse che riesce a suscitare nelle persone. Questi spazi dislocano la cultura, la obbligano ad uscire dai luoghi ufficiali, dai canoni stabiliti a priori, la sottraggono all'ultima parola dell’autorità di turno e restituiscono alle persone una cultura viva, partecipativa, che suscita confronto e non passa attraverso le solite voci imposte da un canone prestabilito che sancisce a priori cosa è autorevole e interessante e cosa invece non lo è. È lì, in quello spazio in cui a ogni voce viene data una possibilità di mettersi in gioco e di dirsi che vi è l’opportunità di trovare qualcosa di nuovo che può a volte anche essere stilisticamente o esteticamente brutto, ma che rimane pur sempre un punto di vista personale sulla realtà, un atto di resistenza all'omologazione, un bollettino dal margine, una cronaca in diretta di ciò che accade fuori, altrove.



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