di Lia Galli
Fotografia di © Francesca Tilio
Francesca Gironi ha partecipato, oltre a quello organizzato a Zelig, a numerosi altri poetry slam. Danzatrice e performer, la sua poesia non si esaurisce però nell'ambito del format, in quanto nel 2016 ha pubblicato la sua opera prima Abbattere i costi per Miraggi edizioni e suoi testi sono inoltre stati antologizzati nell'album di spoken poetry SLAM IT!, nella Guida liquida al poetry slam e in Supernove. Poesie per gli anni 2000.
Il testo di Francesca Gironi su cui ci si soffermerà in questa rubrica e di cui si proporrà un'analisi è “Faccio una bambina” , poesia presentata a Zelig e pubblicata in Supernove. Poesie per gli anni 2000, Sartoria Utopia / Vanda E-publishing, 2019.
Ecco il testo di "Faccio una bambina":
Ho deciso che domani
faccio una bambina
dall'infanzia al nome
la faccio molto amata
molto accolta
faccio una bambina
adulta. Le dico, va tutto bene
non ti preoccupare
sono qui io
le dico amore arrampichiamoci sui muri
facciamo finta di volare
giriamo il mondo sottosopra
giochiamo alla rivoluzione a pallonate a sassi e sputi
alle carezze disoneste (non richieste)
tiriamo i calci
corriamo più veloce faccio una bambina
domani
ho deciso
la faccio strampalata
le dico che disturbi
di far forte
di essere imperfetta e deludente
di ballare in mezzo a tutti ho deciso che domani
faccio una bambina
col mio nome.
ANALISI DEL TESTO
“Faccio una bambina”, composta da sei strofe di diversa lunghezza, ruota attorno al tema dell’identità femminile e propone una riflessione sul significato dell’essere donna. Se la poesia in apparenza sembrerebbe trattare del mettere al mondo una figlia e di educarla a non omologarsi ai canoni imposti dalla società occidentale alle donne, in realtà la bambina di cui parla Francesca Gironi, sembrerebbe proprio essere lei stessa, come alcuni versi della strofa iniziale “faccio una bambina/ adulta” (vv. 6-7) e la strofa finale, “ho deciso che domani/ faccio una bambina/ col mio nome” (vv. 28-30), lascerebbero intuire. La poesia gioca dunque su questa ambiguità di fondo sull'identità della bambina, ambiguità che si risolve pienamente solo nell'ultima strofa in cui il verso “col mio nome” svela la vera natura dell’atto generativo. Si tratta dunque di un testo che narra della riaffermazione della propria identità, in un tentativo di autogenerarsi e di autoeducarsi in modo da sfuggire una volta per tutte alle imposizioni della società riguardo a ciò che si dovrebbe essere. In questo senso l’io poetico coincide con l’autrice e potremmo parlare di poesia autobiografica e al contempo di moltiplicazione dell’io, dato che ci si trova davanti a un io che dichiara la propria volontà di ridefinirsi e di autogenerarsi e si mette in scena anche attraverso una sorta di alter ego, la bambina appunto. All'opera c'è perciò una rigenerazione che non per forza di cose deve avvenire al momento della nascita, ma può avvenire in qualsiasi momento nel corso della vita a patto che ci sia una nuova consapevolezza di sé e del proprio stare al mondo. Il testo è quindi costruito attorno a un dialogo impossibile, utopico, con la bambina che l’autrice è stata e che continua a esistere e che Francesca Gironi ricrea a misura del proprio desiderio piuttosto che di quello altrui.
La costruzione di questa nuova identità a ritroso nel tempo, è ben visibile anche nei versi di apertura del testo, in cui Gironi scrive “Ho deciso che domani/ faccio una bambina/ dall'infanzia al nome” (vv. 1-3), in un processo che intende sovvertire la linearità del tempo e degli eventi, mescolando passato, presente e futuro. L’autrice sembra far intendere che occorre partire dall'infanzia e da una nuova concezione dell’educazione per ridefinire l’identità, l’essenza, rappresentata qui dal nome. Se muta il contesto sociale, se si trasformano i fatti contingenti della vita di una persona, è possibile rifondare anche la sua identità. Si tratta dunque di modificare gli eventi in modo da cambiare l’intima essenza della persona, in modo da riuscire a ridefinirne il nucleo fondante, ossia ciò che in sé è realmente. In questo senso risulta difficile non pensare alla celebre affermazione di Rosa Luxemburg “il primo atto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro vero nome”. Da qui, forse, l’importanza di rinominare le cose e l’insistenza di Gironi sulla necessità di dare un nuovo nome alla bambina. L’aspetto interessante risiede però nel fatto che questo atto di ri-nominazione corrisponde nel testo, come affermato in precedenza, non a un annullamento di quella che è l’identità dell’io poetico, che non chiede per la bambina, suo alter ego, un nuovo nome, ma corrisponde invece alla necessità di rafforzarlo, di riappropriarsene, come la volontà di chiamarla con il proprio nome lascia intendere. All'opera sembra quindi esserci il tentativo di recuperare un sé più autentico, più in linea con la propria essenza; si tratta di ridefinire e ridisegnare un’esistenza a partire da ciò che si è davvero e non da ciò che ci è stato imposto e appare solo come contingente.
La poesia è anche un elogio dell’imperfezione (“la faccio strampalata/ le dico che disturbi/ di far forte/ di essere imperfetta e deludente” (vv. 23-26)) e una rivendicazione della possibilità di essere imperfetti, diversi dagli stereotipi imposti dalla società. Il messaggio risulta particolarmente forte proprio perché unisce a questo elogio dell’imperfezione, la problematica degli stereotipi di genere. Gironi in questa poesia sovverte infatti i canoni prestabiliti dalla società sull'essere donna, ed ecco che la sua bambina sarà educata alla “rivoluzione” (v.15), a vedere “il mondo sottosopra” (v.1), a rispondere “alle carezze disoneste (non richieste)” (v.17), diventando così artefice del proprio mondo.
Nella società occidentale la donna è purtroppo da sempre sottoposta a una grandissima pressione sociale; la sua immagine è andata nel corso degli ultimi secoli via via plasmandosi attorno a una doppia polarità, da un lato quella che la incastra nel ruolo di angelo del focolare, dedito ai lavori domestici, al vegliare la casa, a proteggere e salvare il nucleo famigliare e, di conseguenza l’uomo, e dall'altro lato quella che la vuole come una tentatrice, una creatura che attira l’uomo verso il peccato. In virtù di questa contrapposizione, la donna è sempre giudicata o troppo o troppo poco sexy, è quella emotiva, quella fragile, quella che deve avere una certa grazia, eleganza, timidezza, ma che, proprio a causa di queste caratteristiche, è incapace di assumere ruoli autorevoli, perché ritenuta incapace di essere ferma, di essere schietta. Se nella società occidentale, la donna è stata a lungo determinata dallo sguardo maschile e giudicata a partire dai parametri imposti da una società patriarcale, la donna che Gironi auspica di mettere al mondo è una donna che non senta più il peso di questo sguardo e sappia sottrarsi alla sua logica. Francesca Gironi spera infatti che la sua bambina possa diventare una donna che “disturbi” (v.24), capace “di ballare in mezzo a tutti” (v. 27) perché indifferente al giudizio degli altri. Questo riferimento alla danza presente nel testo acquista maggiore importanza se considerato in relazione alla performance, dato che in essa Gironi introduce effettivamente il linguaggio della danza, elemento altro e dissonante rispetto alla resa puramente orale e linguistica del testo.
Il gioco diventa nella poesia di Gironi un mezzo per scardinare gli stereotipi, per promuovere la libertà. Il gioco, così come il riso, hanno una loro forza intrinseca, che consente agli individui di prendere un distacco dall'apparenza delle cose in modo da vederle nella loro realtà. Il gioco infantile diventa quindi metafora del gioco dello stare al mondo, dell’imparare a essere nel mondo.
Lingua e stile
Nel testo c’è una prevalenza di versi brevi soprattutto parisillabi, che gli conferiscono un ritmo cantato, leggero. Il verso più breve è un trisillabo, mentre il più lungo è un verso di tredici sillabe composto da un novenario e un quaternario. La terza strofa è invece totalmente costruita attorno al novenario, con una prevalenza di accenti in seconda e quarta che si discostano quindi leggermente dall'accentazione tradizionale.
All'interno della poesia è totalmente assente la punteggiatura, fattore che contribuisce a dare al testo, assieme alla brevità dei versi, un andamento dolce, armonico, leggero. La presenza di diversi enjambements conferisce poi al testo una certa velocità e scorrevolezza.
Sono presenti diverse anafore che concorrono, assieme agli elementi sopracitati, a rendere il testo melodico, quasi cantabile e a rafforzare alcuni concetti. Tra queste troviamo “faccio una bambina” (vv. 2, 6, 20, 29), l’espressione “la faccio” che si conclude con una rima a distanza (“la faccio molto amata/ (…)/ la faccio strampalata”) e ancora “le dico”. In questo stesso senso troviamo anche delle epanalessi, come “molto”. Tutte queste figure retoriche legate alla ripetizione contribuiscono a dare al testo un senso di circolarità.
A livello sonoro si riscontrano diverse rime, anche se non tutte a fine verso, come “disoneste” e “richieste” o ancora “preoccupare”/“volare” e diverse assonanze (“sputi”/”muri”; ) e consonanze (“amore”/ “volare”).
Presenti anche delle allitterazioni in -s (sputi, sassi) nella quarta strofa che le conferiscono maggiore durezza rispetto alle precedenti, peraltro in linea con il contenuto semantico dei versi. La ripetizione del “di” seguito dai verbi all'interno della quinta strofa serve a rafforzare l’idea di un’identità in contrapposizione con gli stereotipi voluti dalla società.
A livello sintattico vi sono alcuni casi in cui sintassi e verso creano una certa ambiguità. Un esempio in questo senso è presente a cavallo tra la terza e la quarta strofa (“giochiamo alla rivoluzione// a pallonate a sassi e sputi/ alle carezze disoneste (non richieste) / tiriamo i calci/ corriamo più veloce”). L’assenza di punteggiatura contribuisce a creare questa ambiguità sintattica, per cui è possibile legare il verso “a pallonate a sassi e sputi” (v. 16) sia alla strofa precedente, dando così l’idea che si tratti, da parte dell’io poetico, di un’appropriazione di giochi tradizionalmente maschili, sia a quelle che lo seguono, intendendo così che non si tratta solo di tirare calci alle “carezze disoneste”, ma esse vanno prese anche “a pallonate a sassi e sputi”.
La sintassi, in generale, riprende strutture tipiche del parlato piuttosto che dello scritto, e questo è visibile soprattutto nella seconda strofa. L’intento di Gironi sembra dunque essere quello di riportare a livello sintattico quello che può effettivamente essere il rapporto discorsivo, dialogico - benché non si tratti qui propriamente di un dialogo - tra un adulto e un bambino. Il “le dico” anaforico, pare d'altronde essere un ulteriore segnale che avverte che ci si trova di fronte a quelle che possono essere le parole dette da una persona adulta a una bambina. In questa direzione sembra andare anche l’espressione “ho deciso che domani/faccio una bambina”, un’affermazione volutamente paradossale – dato che riporta all'idea che si possa trattare di una decisione che si può prendere all'improvviso da soli, indipendentemente da altre persone - che potrebbe essere appunto pronunciata da una bambina. Inoltre, a livello lessicale, la scelta di utilizzare il verbo “fare”, verbo multiuso per eccellenza, rinvia anch'essa alla volontà di connotare il linguaggio nella direzione del parlato, del colloquiale, del linguaggio a cui si ricorre per comunicare con i bambini.
PERFORMANCE
La performance di “Faccio una bambina” su cui ci si è basati è quella portata in scena il 16 febbraio 2019 a Poetronica #5, il poetry slam di Atti Impuri a Torino all'Off Topic.
Gestualità e presenza sul palco
La gestualità e i movimenti sulla scena accompagnano tutta la performance di Francesca Gironi. Dopo l’enunciazione del primo verso “Ho deciso che domani”, Gironi si allontana dal microfono e compie un passo di danza che dura diversi secondi e segna dunque uno stacco netto, una sospensione rispetto alla dimensione linguistica. Francesca Gironi introduce quindi un altro linguaggio, di natura extraverbale, all'interno della performance poetica, facendo coesistere due codici diversi: quello della lingua poetica e quello della danza.
Se questa prima introduzione del corpo e della danza all'interno della performance è certamente la più evidente rispetto alla commistione dei linguaggi, in realtà l’intera performance è accompagnata da una forte gestualità che non pare essere mimetica rispetto ai contenuti del testo. I movimenti delle braccia che continuano durante tutta la declamazione del testo sembrano infatti proseguire in una direzione autonoma rispetto alla lingua. Uniche due eccezioni rispetto a questo, sembrano presentarsi all'altezza del verso “giochiamo alla rivoluzione” e all'altezza dei due versi conclusivi “faccio una bambina/ col mio nome” in cui la gestualità pare rimandare al testo, sottolineando i temi che vi vengono espressi. Nel primo caso infatti Francesca Gironi alza il pugno chiuso sinistro, simbolo tradizionalmente associato alle forme di lotta e militanza a sinistra, mentre nel secondo caso appoggia la mano sul petto, sopra il cuore. Questi due momenti sono gli unici in cui la gestualità si fa mimetica e non sembra invece procedere come nel resto della performance attraverso registri e codici propri, più vicini a quelli della danza contemporanea che a una componente ritmica propria della poesia. Si può azzardare l’ipotesi che questo ricongiungersi della gestualità alla semantica del testo, e questo improvviso incontro tra linguaggi diversi, avvenga attorno a questi significati, perché centrali all'interno del testo. Come detto in precedenza, la possibilità di rinominare le cose è un tema fondante della poesia e il riconciliarsi di gestualità e parola proprio attorno a questo tema potrebbe essere un modo per sottolinearne l’importanza.
I movimenti di Francesca Gironi paiono, da un lato, movimenti non casuali che seguono uno schema ben preciso e un ritmo proprio, mentre dall'altro sembrano casuali rispetto all'andamento del testo. Questa gestualità che sembra contraddire la parola, crea nello spettatore un effetto straniante che è reso da Gironi anche nell'intonazione dei versi.
Interessante è tornare su quel “ballare in mezzo a tutti” (v.27) segnalato in precedenza e sulla scelta di ricorrere alla danza all'interno della performance. L’autrice sembra infatti riportare all'interno della performance l’auspicio che rivolgeva alla bambina-se stessa nel testo. Gironi nella performance rende infatti reale, fisico, incarnato quel verso, ballando effettivamente in mezzo a tutti entro un contesto in cui non ci si aspetterebbe la danza. Quel “ballare in mezzo a tutti” è reso corpo, presenza facendo una sospensione durante l’esecuzione della poesia, e introducendo un elemento inatteso che crea uno scarto rispetto alle aspettative e al contesto. Si tratta quindi di danzare dove la danza non è attesa, muoversi quando il pubblico aspetta una parola; si tratta di creare l’inatteso, il fuori luogo.
La scelta di far coesistere linguaggi diversi e di interrompere, all'interno di un format in cui ci si aspetta che la parola sia centrale, la comunicazione di natura linguistica per fare spazio a una comunicazione altra, fisica, corporale e non verbale come quella della danza, trasfigura la natura stessa dell’ atto poetico, che diventa letteralmente azione poetica in senso largo, accadimento in cui la componente linguistica è solo una tra le parti in gioco.
Tono della voce
L’atmosfera straniante è resa da Gironi anche attraverso il tono della voce, che va in una direzione anti-espressiva e sembra essere volutamente piatto e distaccato rispetto al contenuto del testo. Anche il tono va quindi in una direzione contraria alla mimesi, producendo una sensazione di straniamento. Le parole sono scandite lentamente, non ci sono rallentamenti o accelerazioni, fatto che contribuisce a creare un’atmosfera quasi surreale.
Ritmo e marcatura dei termini
Il ritmo della resa orale nella performance segue strettamente quello presente nella pura dimensione testuale, e vi è coincidenza tra gli aspetti metrici presenti nella dimensione testuale e nella dimensione performativa. La voce dell’autrice è quindi già presente nel testo e la performance non va a stravolgerne la metrica e il ritmo. Anche la marcatura dei termini in generale ricalca quella testuale, ad eccezione di un caso, all'altezza del verso 5 “molto accolta” in cui Gironi marca l’ "accolta" in un modo diverso rispetto a quello della pagina.
Gironi insiste anche particolarmente sugli ictus all'interno dei versi, mettendoli in evidenza nella performance. Gli accenti più marcati nella performance sono solitamente quelli a metà verso, in genere accenti di quarta all'interno di novenari. Si tratta dunque di un’accentuazione atipica rispetto ai novenari canonici che, sottolineata all'interno della performance dalla marcatura dell’autrice, contribuisce a rendere questi versi sfuggenti, scivolosi.
Il rapporto tra testo e performance in “Faccio una bambina” di Francesca Gironi è particolarmente complesso, perché se da un lato la resa orale rispetta a livello metrico e ritmico il testo, ad eccezione di qualche caso nella marcatura particolare degli ictus a metà verso, e potremmo quindi tranquillamente affermare che la voce di Francesca Gironi è già presente nel testo scritto, dall'altro gli elementi gestuali che vengono portati nella performance, relativi a un linguaggio altro, che non ha nulla, o quasi nulla, a che vedere con il testo e non segue il suo ritmo bensì gli si contrappone, portano a pensare che la performance sia effettivamente altra cosa rispetto al testo. In essa coesistono infatti due linguaggi, motivo per cui la performance non può essere ricondotta alla testualità e la performance è di fatto una realtà in qualche modo simile, per i motivi sopracitati, ma al contempo aumentata, in cui al linguaggio della poesia viene affiancato un linguaggio altro, in una stratificazione di codici che appartengono di fatto a registri espressivi diversi e non possono essere ridotti al solo atto linguistico.
Francesca Gironi vive ad Ancona. Danzatrice e poeta, ha pubblicato Abbattere i costi (Miraggi, 2016; opera segnalata a Bologna in Lettere 2019). Due suoi testi sono apparsi nell’antologia SUPERNOVE. POESIE PER GLI ANNI 2000 (Sartoria Utopia e VandA ePublishing).
Nel 2019 ha vinto il premio Europa in Versi, sezione Spoken Word. Nel 2017 è ospite del festival Spoken Word Madrid. Con la performance di poesia e danza CTRL ZETA vince il premio internazionale per opere prime nell'ambito delle arti performative CROSSaward 2017. Ha partecipato a numerosi poetry slam ed è stata ospite di festival di poesia, videopoesia, danza e residenze artistiche.
Laureata in Lingue e Letterature straniere, ha un Master in Germanistica conseguito presso la Dalhousie University, Halifax (Canada). Lavora come art editor in una casa editrice. Collabora con il festival di poesia La Punta della Lingua.
La sua ultima produzione Il diretto interessato ha vinto il Premio Bologna in Lettere 2020 per la sezione inediti e sarà pubblicata da Marco Saya Edizioni.
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