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#4 Eugenia Galli, "Ta Ta Ta". Una riflessione critica sul fenomeno del poetry slam

Aggiornamento: 28 nov 2020

di Lia Galli

Fotografia di © alesmile


Il primo testo che ho scelto di analizzare è un testo di Eugenia Galli, autrice che frequenta i poetry slam e ha partecipato a Zelig, ma che si occupa anche di molto altro. Eugenia Galli, oltre a far parte del collettivo bolognese Zoopalco che lavora attorno alla poesia orale, multimediale e performativa, fa infatti anche parte, assieme a Lorenzo Dal Pan, del duo di spoken music Monosportiva Galli – Dal Pan, che nel 2019 ha pubblicato l'EP “Monosportiva Galli – Dal Pan”.


Il testo che analizzerò a breve – “Ta Ta Ta” - presente nell'EP “Monosportiva Galli – Dal Pan” ha subito un’evoluzione, dato che dopo essere stato presentato da Eugenia Galli in vari poetry slam e festival con il solo ausilio della voce, ha ora acquisito una forma compiuta e forse definitiva in musica. Sul web sono però presenti diverse performance di Eugenia Galli di questo pezzo, tutte precedenti alla versione in musica, dunque per l’analisi mi riferirò a quelle, visto che la spoken music non rientra nei parametri relativi al poetry slam che si vogliono indagare in questa rubrica. Ciò nonostante sarebbe interessante soffermarsi in un altro momento anche sulla forma in musica che il pezzo ha acquisito, cercando di capire cosa la musica abbia aggiunto al testo e come sia entrata in dialogo con esso, trasformandolo.


Ecco il testo di "Ta Ta Ta":


Avere un corpo è dato solo ai giovani, è un gioco da ragazzi possederlo, vederlo percepito, adoperarlo. Avere un sesso è dato finché è fertile.


E il giovane infermiere sorridente lo sa bene: mi guarda sempre in volto o non mi guarda, mi cambia le lenzuola come un mago — le sfila e non mi sfiora —


resto ferma, di ceramica.


Soltanto in ospedale ci è concesso portarci addosso un corpo anche da vecchi, ma come fosse un prestito: per poco, di passaggio.


Non riesco a ricordare il nome del mio medico, del resto non lo stimo ed è un fastidio sentirlo incaponirsi sulla diagnosi: mi dice che non riesco più a parlare, sono afasica.


Il corpo in ospedale è un corpo schiavo, lontano dalla mente che lo avverte: il medico si sbaglia, è un incapace e un ictus non può toglierti la voce.


***


Questa parte di città non l’ho mai vista; alla finestra si srotolano i nomi delle aziende e dei negozi, certamente nomi inglesi — è alla moda — che noi vecchi non capiamo, ta ta ta.


Qui non c’è molto da fare. L’infermiere avrà trent’anni, avrà studiato, ma suppongo che nemmeno lui capisca: mi sorride se gli chiedo una lettura ad alta voce di quei nomi, non risponde. Io mi sento una turista in questa lingua, ta ta ta.


In tv qualcuno parla di un complotto delle case farmaceutiche e dei medici — forse è questo, forse inventano una cura per un male inesistente, che non appartiene al corpo. Ti convincono inventandone anche il nome.


***


Qui di notte resto sola, ta ta ta, e per qualche folle ora si convince il personale sanitario che io renda al mondo il corpo, che mi scada questo prestito ogni sera, come già nell’aldilà vivessi in sogno.


Di nascosto questa mano ancora viva mi dà gioia, mi dà voce, e c’è un nome che ricordo ed è Tommaso, ta ta ta.


***


Al mattino finalmente c’è una visita ta ta. C’è mia figlia, piange forte, mia nipote ride isterica e mi porge tra le lacrime un aggeggio tecnologico alla moda — sempre col suo nome inglese, ta ta ta da cui esce questa voce che è la mia, ma non riesce più a parlare perché è afasica: «Ta ta ta, ta ta ta, ta ta ta, ta ta ta come detto per eserto c’è Tommaso ta ta Maso, come vaso? ta ta ta siete grazie di venute ta ta ta c’è Tommaso come detto, come vaso? Tutto bene porca troia, tutto bene.»



ANALISI DEL TESTO

“Ta Ta Ta” è strutturata in dodici strofe di varia lunghezza, di cui una composta da un unico verso che sintatticamente si lega alla strofa precedente. A livello macroscopico il testo è a sua volta suddiviso in quattro parti, che segnano degli snodi nella narrazione e delle pause forti a livello orale prima ancora che testuale. Si tratta infatti di un testo fortemente narrativo, in cui viene rappresentata la condizione di una donna anziana resa afasica da un ictus. Non si tratta dunque di una poesia autobiografica, dato che io poetico e io autoriale non coincidono, ma si tratta di un personaggio altro rispetto a Eugenia Galli, il quale racconta la sua condizione.


Nel testo compaiono tre voci, la prima è la voce interiore dell’anziana, che è quella che narra la sua condizione e esprime le sue considerazioni interiori in modo lineare, coerente, strutturato seppur, a tratti, intimorito dal mondo che la circonda. Questa voce, oltre a farci conoscere la sua vicenda personale presente, si esprime, soprattutto nelle prime strofe, in modo assertivo, emettendo anche sentenze sul corpo, sulla vecchiaia, sulla giovinezza. Questa narrazione – e ce ne si rende conto con certezza nell'ultima strofa, in cui compare una voce esteriore ben diversa da quella di cui si sta trattando ora – è portata avanti nella coscienza della donna, in un dialogo interiore in cui si alternano considerazioni di carattere esistenziale a descrizioni della condizione che l’io poetico si trova a vivere. Questa voce, che percorre quasi interamente il testo, è resa con una sintassi generalmente piana.


La seconda voce, espressa in corsivo nel testo, è invece un dialogo che questa voce interiore, incarnata nella mente della donna, intrattiene con il corpo. Questo dialogo, esplicitato nel testo dal corsivo pare essere un discorso diretto dell’anziana a se stessa o, meglio, un dialogo interiore tra la mente e il corpo dell’io poetico.


La terza voce è la voce fisica, esteriore della donna. Questa voce compare esclusivamente nell'ultima strofa e Galli, per darle vita, utilizza l’espediente di un registratore o cellulare che permette all'io poetico di rendersi conto di come la sua voce risuoni all'esterno, di come le sue frasi vengano pronunciate e si sfilaccino, vadano in frantumi.


Nella poesia è in gioco una scissione tra la mente e il corpo, corpo che occupa un ruolo centrale all'interno del testo, ma ha perso coesione con la mente. La capacità di ragionare dell’anziana, nonostante qualche vuoto di memoria, pare infatti intatta, come mostra anche la narrazione sintatticamente lineare della donna lungo il testo ed è il corpo a essere letteralmente a pezzi (“Di nascosto questa mano ancora viva/ mi dà gioia, mi dà voce”), ormai colpito dall'ictus che crea un impedimento e fa da schermo con il mondo, non consentendole di esprimere all'esterno il pensiero in modo comprensibile e strutturato.


Tutta la poesia si articola dunque attorno all'impotenza di questo corpo, a questo “corpo schiavo” incapace di esprimersi attraverso quel codice comune che è il linguaggio, ma ancora vivo in alcune sue parti, come in “questa mano” (v.41). Si tratta dunque di un corpo che mantiene una sua vitalità, nonostante la vecchiaia, l’infecondità, il deperimento ma che, impossibilitato a esprimersi secondo i canoni comuni, è costretto a accettare una modificazione del suo rapporto con gli altri, con il mondo in quanto incapace ormai di comunicare, di farsi capire. Il corpo diventa una gabbia, una prigione dato che il linguaggio, che nel testo pare essere la chiave per rapportarsi al mondo, non gli consente più di dirsi.


Se il corpo è il protagonista della poesia, attorno a questo si aprono temi a esso collegati, tra cui quello dell’opposizione tra giovinezza e vecchiaia. Il corpo anziano – secondo un luogo comune contraddetto nella poesia - è privo e privato di un sesso, che è “dato finché è fertile” (v.4) o addirittura non è neanche più considerabile come corpo, perché esso è “dato solo ai giovani” (v.1). Un corpo vecchio non è desiderabile, non suscita più l’interesse degli altri, non attira gli sguardi, ma è come un abito dismesso, infatti “soltanto in ospedale ci è concesso/ portarci addosso un corpo anche da vecchi”. La metafora rende in maniera efficace l’idea che il corpo è qualcosa che indossiamo, un attributo tra gli altri attraverso il quale l’essere umano esprime la propria identità ma che non sempre ha il privilegio di poter indossare. Il corpo come accessorio, come oggetto inerte, privo di qualsiasi attrattiva che non si limita però all'inutilità, ma diventa rapidamente una barriera, un impiccio, un problema come nel caso dell’io poetico, colpito da afasia.


In questa poesia l’afasia, oltre a rivelare i limiti del corpo, diventa però anche un mezzo per trattare dell’importanza del linguaggio, che pare essere l’unico ponte tra l’io e gli altri. Il linguaggio si mostra in realtà in modo ambiguo all'interno del testo. Se da un lato sembra infatti essere l’unico punto di contatto tra sé e il mondo, tanto che perdere la capacità di parlare equivale a una morte sociale del corpo e dell’io, dall'altro, proprio in virtù della sua importanza, è anche mezzo che può generare separazioni, divisioni irrimediabili tra gli esseri umani. Galli espone la problematicità di una lingua che perde la sua funzionalità comunicativa ( “certamente nomi inglesi (…)/che noi vecchi non capiamo, ta ta ta”) e, perdendo così la sua funzione originaria, diventa mezzo di esclusione, fino a far sentire l’io poetico “una turista in questa lingua”. Non solo l’afasia, la mancanza della parola finisce per rendere impossibile un incontro tra l’io e l’altro, ma anche l’esistenza stessa di lingue diverse e l’emergenza di gerghi giovanili può impedire definitivamente la comunicazione tra le persone.


Galli porta avanti una riflessione sui limiti del corpo che sembrano, almeno in parte, corrispondere anche con i limiti del linguaggio. Il testo sembra anche interrogarsi sul rapporto tra corpo e mente, sul loro essere entità distinte. La mente appartiene al corpo? O, meglio, esiste una coscienza extracorporale che trascende quello stesso corpo?


La strofa più lirica, nel senso tradizionale del termine, accompagna la solitudine dell’ io che, rimasto solo, rimugina sulla propria condizione precaria immaginando il personale dell’ospedale che lo crede sempre in punto di morte. In questa strofa troviamo la metafora del rendere “al mondo il corpo”, concesso all'anziana “in prestito”, come se fosse già morta. La metafora in questione, che è ormai parte del linguaggio popolare, rafforza maggiormente l’idea già espressa in precedenza che il corpo non è altro che un accessorio, un oggetto che ci è dato in prestito e, seppur la sua importanza sia centrale nella nostra società, è accettato solo fino a quando è funzionale. “Ta Ta Ta” possiede quindi una forte carica critica nei confronti della società, in quanto denuncia non solo il trattamento che subiscono gli anziani all'interno del contesto sociale in cui si trovano a vivere e all'interno del sistema sanitario e ospedaliero, ma anche la svalutazione dell’etica e il predominio dell’estetica, con il suo culto del corpo e dell’apparire, all'opera nella società occidentale. Eugenia Galli – contrapponendo lo sguardo superficiale degli altri sul corpo e l’esperienza dell’ essere in un corpo, l’esperienza di una corporeità vissuta e dunque autentica - denuncia il trasferimento di ogni valore al puro piano della sensazione, dell’apparenza, della funzionalità e l’assunzione del corpo a simbolo e strumento di forza e potere.


Date le premesse, parrebbe non esserci riscatto per l’io poetico, costretto in un corpo inutile, ma nella strofa successiva a quella appena citata, entra invece con forza nel testo un gesto che strappa l’anziana alla sua condizione e questo momento di rivalsa è ancora una volta legato al corpo. Questo corpo che si sottrae alle imposizioni non è però quel corpo astratto che risponde ai canoni e agli stereotipi imposti dalla società, bensì è un corpo reale; si tratta di quell'esperienza di essere in un corpo che è l’unica, secondo Schopenhauer ma non solo, a permettere infine un accesso e una comprensione di sé e del mondo. Nella poesia è quindi all'opera anche una riappropriazione del corpo, e il gesto dell’anziana diventa un modo per sottrarre la propria corporeità agli altri ridandole il suo vero potere e significato. L’immagine in questione è una scena di masturbazione - la sessualità degli anziani resta un grande tabù, e non solo in poesia - che Galli riesce a tratteggiare con leggerezza e sembra una ribellione ultima della donna al destino del corpo, allo sguardo degli altri, alle leggi stesse della vecchiaia e della malattia:

“ Di nascosto questa mano ancora viva/ mi dà gioia, mi dà voce, /e c’è un nome che ricordo/ ed è Tommaso, ta ta ta.”.


Se i nomi inglesi generavano straniamento, il nome Tommaso entra invece con forza nella poesia, e si profila come un momento di ribellione frutto di un ultimo slancio vitale, come simbolo di un desiderio, forse di un amore, che non può certo salvare, ma costituisce un attimo di ritrovata autonomia, in cui c’è una riappropriazione della propria identità. Il nome Tommaso diventa d'altronde centrale nell'ultima strofa, in cui l’anziana riconosce forse per la prima volta l’afasia che l’ha colpita e sente le sue parole registrate. Ciò che colpisce è ancora una volta lo straniamento, la scissione della donna la cui identità sembra ancora sdoppiarsi mentre ascolta una voce esterna che però è la sua (“da cui esce questa voce che è la mia”). Ciò che sembra tenere insieme questa identità, questo doppio diviso tra mente e corpo, tra voce interiore e voce esteriore, manifesta, è proprio quel Tommaso, unico punto fermo che però è destinato, come suggeriscono gli ultimi versi ( “ta ta Maso”) a frantumarsi anch'esso.


Lingua e stile

Il testo, pur non rispettando una metrica regolare e tradizionale, è costruito attorno a alcuni metri dominanti. Se la prima parte è dominata da endecasillabi a maiore (con un’accentuazione predominante sulla seconda e sulla sesta), le ultime strofe sono costruite soprattutto attorno all'ottonario, metro cantabile e popolare per eccellenza. Non è forse un caso che Galli scelga di costruire le prime strofe della poesia, in cui il tono è più assertivo, attorno a un verso come l’endecasillabo, che serve proprio a donare assertività e solennità al discorso, mentre scelga per la decima strofa, quella forse dal contenuto più intimo del testo, principalmente degli ottonari che riproducono lo stesso schema accentuativo in seconda. Gli ultimi due versi del testo sono rispettivamente un dodecasillabo con cesura che fa sì che il primo emistichio sia un ottonario composto da due parti di quattro sillabe ciascuna e un ottonario con una cesura lieve che fa sì che si ritrovino ancora una volta due emistichi di quattro sillabe ciascuno; questo ricorrere alla frammentazione del verso in parti, mima la parlata stentata, ridotta quasi a una filastrocca, dell’anziana.


La parlata stentata della donna è dunque presente anche nella struttura intima del verso. Non è un caso che nell'ultima strofa, quella in cui lo scritto diventa pura trascrizione dell’orale, ossia mimesi del parlato dell’anziana, anche le rime interne si facciano più presenti (vaso/ Maso/ Tommaso) e la sintassi si rompa, si scomponga in particelle. Soprattutto nell'ultima strofa il discorso scritto mima dunque la parlata della donna, la fatica del suo discorso e la confusione del linguaggio. È un discorso orale letteralmente traslato e trasferito in un testo scritto, il quale riproduce graficamente gli errori lessicali e sintattici dell’anziana, la sua pronuncia incerta che diventa sempre più simile a una filastrocca, a una lallazione. Il lavoro sul ritmo è particolarmente evidente e importante in quest’ultima strofa.


Il testo nasce per la sua resa orale, e questo è ben visibile, come detto, nella sua struttura narrativa e nella sintassi piana, ma anche nell'utilizzo delle figure di suono e di ritmo e nella riproduzione grafica di quel ta ta ta che riproduce il balbettio e l’afasia della donna. Per quanto riguarda le figure di suono sono da segnalare le numerose assonanze, consonanze e rime imperfette che a livello storico hanno, fin dalle origini, grande spazio nella poesia popolare, nei detti popolari e nella poesia trobadorica. La scelta di ricorrere ad assonanze e consonanze, che danno luogo a fine verso, come detto, a rime imperfette, può essere un modo per Eugenia Galli di rendere il testo di maggior impatto nella sua resa orale, ma anche di rifarsi a una tradizione poetica dalla forte componente orale.


Un altro elemento retorico presente nel testo è l’anafora. L’utilizzo forse più forte a livello testuale dell’anafora è il “qui” (vv.26-37) che serve a segnare il confine tra il mondo ristretto in cui si trova a vivere l’anziana, ossia l’ospedale, e il resto del mondo. Il deittico non riguarda però solo la donna, non è quindi un marcatore esclusivamente personale in questo caso, ma segna anche una frattura tra quello che è il mondo degli altri, dei giovani, e quello che è il mondo degli anziani, confinati in una sorta di limbo o di anticamera purgatoriale in cui attendere la morte. Assieme all'anafora, Galli utilizza anche l'epifora e lo fa riprendendo il sintagma “tutto bene”. Questa ripresa avviene nell'ultima strofa ed è la risposta che l’anziana dà probabilmente alla domanda “come va?” che in questa strofa segnata dalla frantumazione e dall'alterazione sintattica possiamo solo intuire. In mezzo ai balbettamenti della donna, la risposta “tutto bene/porca troia, tutto bene”, sembra rimandare a una presa di coscienza ulteriore dell’anziana rispetto alla propria condizione. Si potrebbe addirittura supporre che a esprimersi sia di nuovo la voce che trovavamo all'inizio della poesia, ossia quella interiore e salda, assertiva dell’anziana. La stessa funzione di rafforzamento e sottolineatura che conferiscono anafore e epifore al discorso, si trova anche nell'utilizzo della simploche che Galli fa all'inizio del testo. La ripetizione con variazione della formula “avere un corpo è dato” (v.1) che si trasforma in “avere un sesso è dato” (v.4) serve a sottolineare quello che non è solo il tema centrale all'interno del componimento, ma ne è anche il vero soggetto, ossia il corpo.


PERFORMANCE


Per commentare e proporre uno spunto di analisi della performance di “Ta ta ta”, testo che, come la maggior parte dei testi di Eugenia Galli, nasce per essere pronunciato, quindi nasce in funzione della sua resa orale, mi sono basata sul poetry slam dell’edizione del festival “La punta della lingua” del 2018. Occorre precisare che il testo è stato adattato, in parte, al format del poetry slam e alle sue regole, in quanto Galli ha dovuto eliminare una strofa originariamente presente nel testo (“In tv qualcuno parla di un complotto/ delle case farmaceutiche e dei medici/ - forse è questo, forse inventano una cura/ per un male inesistente, che non appartiene al corpo./ Ti convincono inventandone anche il nome.”), e reintrodotta nella versione in musica, per rispettare la tempistica di tre minuti a testo. Le regole del format hanno dunque influenzato, anche se solo per ragioni di tempo, la struttura stessa del testo.


Come detto in un precedente articolo, mi sono concentrata su cinque criteri per giudicare la performance, ossia tono della voce, ritmo e metrica, velocità, marcatura dei termini, gestualità e presenza scenica. Si tratta dunque di quattro criteri strettamente legati alla voce e di due criteri legati al corpo.


Tono della voce

Il tono di “Ta Ta Ta” è espressivo, segue i contenuti del discorso. Ogni strofa ha un’intonazione diversa che ne rispecchia i contenuti specifici. Ad esempio, all'altezza di alcuni versi della quinta e della sesta strofa si trovano due “climax vocali” che corrispondono ai momenti in cui vengono rappresentati la rabbia dell’anziana e il suo rigetto delle ipotesi fornite dal medico. Il tono si fa invece più ingenuo, stupito, all'altezza della settima strofa, in cui l’anziana scopre effettivamente una parte della città che non ha mai visto.


Ritmo e accelerazioni

La resa orale del testo evidenzia gli accenti all'interno dei versi. Il ritmo presente nel testo viene così evidenziato dalla sua messa in voce. Il ritmo dato dalla voce coincide con il ritmo sulla pagina e la messa in voce è dunque fedele alla metrica testuale, è già inscritta all'interno del testo. Anche le pause presenti nel testo coincidono, tranne che in rari casi, con le pause nella performance. L’unico scarto tra testualità e messa in voce appare forse nelle accelerazioni e nei rallentamenti di alcuni versi che non sempre sono già presenti nel testo scritto, come ad esempio nel verso lungo “mia nipote ride isterica e mi porge tra le lacrime” che viene accelerato per aumentare la sua resa espressiva.


Marcatura dei termini

Galli, come detto, nella performance è fedele agli aspetti fonoritmici già presenti nel testo, dunque anche la marcatura dei termini, il suo soffermarsi su un termine specifico o su un verso per rafforzarli è già inscritto nella testualità. Un bell'esempio di questo, lo si trova nella penultima strofa “c’è mia figlia, piange forte” o più in generale all'interno dell’ultima strofa in cui si nota un attento lavoro sugli aspetti ritmici che viene mantenuto intatto anche nella resa vocale e rende la strofa particolarmente efficace e ben riuscita.


Gestualità e presenza sul palco

La gestualità accompagna la performance ma in maniera discreta. Galli non si muove sulla scena e tiene il ritmo attraverso il movimento del braccio. Il corpo è utilizzato principalmente quale strumento ritmico; diventa un mezzo attraverso cui rendere evidente e visibile anche a livello scenico il ritmo del testo.

Vi sono però delle eccezioni in cui i gesti diventano mimetici rispetto ai contenuti. Queste eccezioni appaiono, ad esempio, all'altezza del verso “Questa parte di città non l’ho mai vista”, in cui Galli indica una città immaginaria alla sua sinistra, e poco dopo quando pronuncia “di quei nomi” indicando ancora quella città a cui si riferiva in precedenza, oppure all'altezza del verso “Di nascosto questa mano ancora viva/mi dà gioia, mi dà voce”.


Alla luce di quanto rilevato, si può concludere che il testo ha una sua importanza e autonomia sulla pagina, in quanto in esso sono già presenti quegli aspetti metrici e ritmici che ritroviamo nella sua resa orale. La performance del testo non è quindi un elemento che va a produrre uno scarto rispetto alla pura testualità, ma è invece fedele a quanto si trova già a livello testuale. Seppur pensato per una resa orale, “Ta Ta Ta” possiede già il ritmo che verrà poi traslato nella performance e in esso si trova già tutto quell'apparato fonoritmico che caratterizza la voce dell’autrice.




 

Eugenia Galli (Rimini, 1996), laureanda in lettere all'Università di Bologna, è la segretaria di Zoopalco, associazione culturale che si occupa di promuovere la poesia performativa e multimediale sul territorio bolognese e nazionale. Fa parte del direttivo di DAS – Dispositivo Arti Sperimentali, spazio di produzione artistica a Bologna. Suoi sono i testi e la voce del progetto di spoken music Monosportiva Galli Dal Pan.

È finalista del Premio Alberto Dubito di poesia con musica nel 2016 (in collaborazione con Luca Pasini), nel 2018 e nel 2019 (con la Monosportiva Galli Dal Pan). Suoi testi compaiono nelle antologie dedicate al premio e pubblicate da Agenzia X: “Rivoluziono con la testa” (2017), “Il genere errante” (2019) e Ora vogliamo tutto(2020).

Nel 2017 e nel 2018 è finalista nazionale del campionato di poetry slam organizzato dalla LIPS – Lega Italiana Poetry Slam, di cui è coordinatrice regionale per l’Emilia-Romagna.

Ha tradotto "Poesie per ragazze di grazia e di fuoco" (Rizzoli, 2018) insieme a Tommaso Galvani.

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