di Lia Galli
Sull'oralità e sulla poesia orale esistono numerosi studi che hanno preso avvio principalmente attorno agli anni Sessanta del Novecento, ma che partono per la maggior parte da un approccio antropologico e di confronto tra culture diverse, alcune in cui l’oralità è predominante, come quella africana, e altre, come quella italiana ad esempio, in cui la letteratura si è via via cristallizzata nei secoli principalmente attorno alla forma scritta. Si tratta dunque di studi che indagano il fenomeno principalmente da una prospettiva antropologica o sociologica e, se si rivelano interessanti per un discorso generale sul ruolo dell’oralità nelle diverse epoche e culture, sono meno specifici e accurati quando si tratta di definire dei parametri attraverso cui determinare il valore dell’oralità in poesia e interpretarne le sfumature.
Per definire dei parametri attraverso cui analizzare le performance all'interno degli slam, si è dunque partiti da quei pochi ma pregnanti contributi che, per chiarezza di idee e profondità, potevano concretamente fornire dei validi strumenti di interpretazione. Tra questi si annoverano gli studi di Paul Zumthor, in particolare La voce in scena. Introduzione alla poesia orale [1], quelli di Walter Ong [2] e di Henri Meschonnic [3] e, per quanto riguarda l’Italia, i contributi di poeti attivi nella scena performativa come Rosaria Lo Russo e Lello Voce che in tempi più o meno recenti si sono espressi sull'argomento.
Dato che non è questa la sede per approfondire un dibattito sul significato di oralità o di performance, mi limiterò a riportare, in breve, alcune considerazioni degli autori sopracitati che fungono da punti di partenza per la mia analisi delle performance.
Se, come sostengono Henri Meschonnic e altri studiosi, non ha senso distinguere tra oralità e scrittura, perché nello scritto l’oralità, la voce è già presente in quanto linguaggio e l’oralità può essere definita come presenza del corpo nel linguaggio, ciò che diventa necessario è da un lato capire come quella voce e quell’oralità si presentino nel testo e dall’altro è importante capire cosa il corpo sia in grado di produrre a livello linguistico. Meschonnic individua nel ritmo l’elemento che determina l’oralità, la presenza della voce, nella scrittura:
«Diviene dunque, non solo possibile, ma necessario, concepire l'oralità non più come assenza di scrittura e come il solo passaggio dalla bocca all'orecchio […] ma come un'organizzazione del discorso retta dal ritmo. La manifestazione di una gestualità, di una corporeità e di un' intersoggettività nel linguaggio. Con i mezzi del parlato nel parlato. Con i mezzi dello scritto nello scritto.»[4]
Come scrive giustamente Paolo Israel interpretando il pensiero di Meschonnic, “pensare l'oralità come l'essenza di ciò che passa per la bocca non conduce da nessuna parte: essa è quella modalità del linguaggio in cui il ritmo assume un ruolo predominante, e in cui il linguaggio mostra il suo rapporto originario con il corpo e con l'intersoggettività. Il parlato e lo scritto, gli altri due estremi del triangolo, sono sue attualizzazioni: l'oralità così intesa si può manifestare nel parlato come nello scritto, in forme diverse, e con mezzi diversi: ad esempio, rispettivamente, l'intonazione e la punteggiatura.”[5]
Alcuni parametri utili iniziano a delinearsi: ritmo (nella testualità e nella performance) - composto da prosodia e accenti, punteggiatura (nella testualità) e intonazione – gestualità e intersoggettività (nella performance).
La voce è da intendersi allora non come uno strumento che viene dopo l’atto della scrittura o entra in scena nella performance, bensì come una condizione che antecede qualsiasi tipo di atto poetico, in quanto è lo sfondo stesso del linguaggio; essa diventa una possibilità, una condizione stessa di esistenza di una poesia. Occorre però allora definire cosa si intenda per voce. Non si tratta infatti della voce fisica o della parola pronunciata, ma si tratta di una voce interiore, potenziale, strettamente legata al poeta e che ne caratterizza lo stile.
Paul Zumthor, che ha dedicato buona parte dei suoi studi all'oralità, fornisce un’interessante classificazione delle fasi di esistenza di un testo poetico che permette di distinguere se un testo appartiene maggiormente all'ambito della poesia orale o della poesia scritta:
“L'esecuzione costituisce il momento cruciale in una serie di operazioni da un punto di vista logico (benché non sempre di fatto) distinte. Io ne conto cinque, che sono per così dire le fasi dell'esistenza del testo poetico:
l. produzione;
2. trasmissione;
3. ricezione;
4. conservazione;
5. (generalmente) ripetizione.
L'esecuzione riguarda le fasi 2 e 3; nei casi di improvvisazione, l, 2 e 3.”[6]
Ci si rende subito conto di come la maggior parte dei testi poetici non appartenga in realtà esclusivamente alla sfera orale o scritta, ma sia in realtà una forma ibrida. Per avere un’oralità perfetta, il testo dovrebbe essere, in ognuna delle cinque fasi, legato all'oralità e all'ascolto:
“In tutte le società che posseggono una scrittura, ciascuna di queste cinque operazioni si realizza o mediante la via sensoriale orale-aurale (secondo l'espressione di Ong che rimanda contemporaneamente alla voce e all'udito), o grazie alla mediazione di un'iscrizione, offerta alla percezione visiva. La combinazione di questi fattori dà teoricamente dieci possibilità. Le operazioni 1,2,3 e 5 sono orali-aurali (e dunque 4 puramente mnemonica)? Parleremo in questo caso di oralità perfetta, e 5 si collocherà probabilmente in una tradizione molto stabile. Le stesse operazioni comportano un'iscrizione (e dunque 4 il ricorso a biblioteche o archivi)? Avremo un processo perfetto di scrittura. Con quest'ultimo processo, una poetica dell'oralità non ha nulla a che vedere. Ma restano le altre nove possibilità.”[7]
Nel caso dei testi presentati all'interno del poetry slam, è chiaro come la trasmissione e la ricezione passino necessariamente attraverso la forma orale. Tutta la poesia portata all'interno degli slam, per la struttura stessa del format, acquista dunque una componente legata all'oralità che potrebbe averne determinato la forma originale oppure potrebbe invece essere stata concepita per essere trasmessa e ricevuta in forma scritta, attraverso una raccolta, ed essere poi stata adattata al format, acquisendo così una doppia modalità di fruizione (trasmissione e ricezione).
L’ibridazione e il dialogo tra oralità e scrittura, è dunque presente nella maggior parte dei casi e, se Zutmhor conta un caso di oralità perfetta – da intendersi come un’oralità presente in tutte le cinque fasi - e un caso in cui avviene un processo perfetto di scrittura, le altre nove possibilità prevedono invece forme miste, in cui si verificano fenomeni particolarmente interessanti:
“Una poesia composta per iscritto ma eseguita oralmente cambia con ciò di natura e di funzione, come cambia, all'inverso, una poesia orale che venga messa per iscritto e diffusa in questa forma. Si verifica che il mutamento rimanga virtuale, nascosto nel testo come una ricchezza tanto più meravigliosa quanto irrealizzata: ed è questo il caso di un certo tipo di testi che noi leggiamo con gli occhi ma davanti ai quali percepiamo con intensità che richiedono di essere pronunziati, che una voce piena vibrava all'origine della loro scrittura.”[8]
Zumthor e Meschonnic non danno al termine voce lo stesso significato. Se ritengo la definizione di Meschonnic più vicina all’idea che io ho di voce, ossia che in ogni testo scritto sia già presente una voce e che la voce fisica, concreta, sia un’esteriorizzazione di quella voce prima, è interessante e utile ai fini della nostra analisi, ritenere l’idea base che Zumthor vuole esprimere, ovvero che ci sono testi scritti che hanno al loro interno dei marchi particolari, dei segni che mostrano il loro essere stati concepiti per una trasmissione e ricezione orale.
In ogni caso Zumthor sostiene che “una poetica dell'oralità deve occuparsi di tutti i casi in cui almeno una parte di questo processo comunicativo passa attraverso questo circuito” orale-aurale, quindi anche dei testi concepiti in forma scritta e poi trasmessi oralmente, motivo per cui anche nel caso del poetry slam o di performance poetiche non sarà possibile basarsi esclusivamente sulla fase di trasmissione o sulla ricezione, ma sarà fondamentale basarsi anche sul testo e sulle modalità di conservazione di quel testo, dunque sui supporti attraverso cui si vuole preservarne l’esistenza.
Spostandoci in Italia e in tempi più recenti, è interessante riprendere un passaggio tratto da Avviso ai naviganti di Lello Voce e Gabriele Frasca, i quali mettono efficacemente in rilievo la natura essenzialmente ibrida della poesia e il suo essere plurisensoriale:
“La sua natura (della poesia n.d.r) essenzialmente linguistica, cioè il suo essere basata sul medium che più di ogni altro ci rende umani, fa della poesia un’arte amichevole, anzi la più amichevole fra tutte: per questo essa ha sempre teso a fondersi con altre arti e con altri sistemi di comunicazione, a partire da quelli iconici delle pitture rupestri. Non esiste comunicazione umana, lo ricordava Giorgio Raimondo Cardona, che non sia di suo audiovisiva. La poesia è dunque costituzionalmente “liquida”: dalla lingua che articola la voce cola sulla pagina, e dalla pagina, dopo averla inzuppata, gocciola di nuovo sino alle orecchie (e agli occhi) del mondo. Il suo essere liquida le permette da sempre di mescolarsi e fondersi alle altre arti. Per questo ancora oggi la poesia si presenta pluriversa. Solca indifferentemente vari supporti (aurali, visivi, multimediali), ma la sua identità è linguistica; se è orale, rimanda allo scritto che la precede, se è scritta, rimanda all'oralità che vi è necessariamente immaginata e incorporata.”[9]
Ancora una volta l’accento è quindi posto sulla voce, e sulla poesia in quanto atto linguistico e comunicativo, dunque legato tanto all'oralità e all'ascolto quanto alla scrittura e all'universo visivo. Scindere i due mondi non ha quindi senso, ma si rivela invece importante osservare come oralità e scrittura si compenetrino nella poesia - e nella performance in particolare - andando a creare, continuamente e proprio in virtù di questa compenetrazione, nuovi universi di senso.
Restando in Italia, anche Rosaria Lo Russo, in Il mandato sociale del poeta, prende posizione rispetto a diversi aspetti relativi alla poesia che risultano di particolare interesse in questa sede. Tra le varie considerazioni, si interroga in particolar modo sulla figura del poeta performer, fornendo utili strumenti su cui focalizzare lo sguardo quando si parla di poesia performativa. Lo Russo, per quanto riguarda quella voce primaria evocata prima, si colloca sulla linea di Meschonnic e, distinguendo tra poeta e performer, mette in luce quella voce primaria già presente nel testo scritto che, attraverso la performance, il poeta esteriorizza:
“L’ispirazione poetica è un fenomeno fisiologico di letterale vocazione: dell’impulso sonoro magmatico, prelinguistico, che dà l’abbrivio (e il brivido) della scrittura in versi, hanno parlato Leopardi, Valery, Kristeva, Jakobson. È nascosta nell'impasto fonoritmico del genotesto, è il lavorio psicolinguistico del sottotesto: ciò che costituisce la dimensione prosodica, metrica, retorica di un testo in versi è il suono specifico di quella poesia, quella musica che costituisce il cuore pulsante dello stile di un autore, il suo proprio timbro vocale. La vocalità, o oratura o vo coralità inscritta nel testo, altro non è che la sua dimensione metrico-prosodica. Per dire questa ad alta voce è sufficiente la “grana della voce” (Barthes) del poeta, è sufficiente che il poeta collochi all'esterno la voce interna al suo, o altrui, testo. Questo “fa” il poeta, l’aedo antico, il cantore omerico. E se accompagna il suo dire col gesto sarà un gesto che segue il ritmo del suo dire, e se la musica accompagnerà il suo dire sarà conseguente al ritmo dello stesso, non viceversa.”[10]
Se questo è dunque ciò che fa il poeta, cosa fa invece il performer, termine che deriva dall'ambito teatrale? Lo Russo lo spiega con chiarezza:
“Il Performer che fa bene il suo mestiere fa molto di più: la voce e il ritmo non sono il tutto del suo fare; la sua azione coinvolge molto più articolatamente lo spazio: il Performer non fa poesia, fa teatro. Del teatro la poesia è una parte, non il tutto. Il corpo in scena del Performer produce un’azione molto più complessa della sua vocalità. Il Poeta che fa bene il suo mestiere può limitarsi a restituire al testo la sua dimensione ritmico-vocale. Dunque il Poeta in senso proprio e il Performer in senso proprio sono due figure distinte in base al loro training formativo e al loro genere espressivo.”
Un poeta, per essere definito un poeta performativo, deve saper unire, secondo Lo Russo, l’arte della parola ai mezzi espressivi propri del teatro – la voce, la gestualità, la presenza sul palco, l’espressività corporea -, arrivando a proporre uno spettacolo che non sia solo la somma di elementi scollegati tra loro. Ancora una volta si ritrova quindi quell'idea di compenetrazione e fusione tra linguaggi diversi, appartenenti a diverse arti, che caratterizza la poesia portata in scena, performata.
Per analizzare le performance degli autori presenti a Zelig, sarà dunque opportuno basarsi anche su quegli elementi evidenziati da Lo Russo come la messa in voce, la gestualità e la presenza sul palco.
A questo punto mi è possibile stabilire con sufficiente chiarezza dei parametri attorno a cui strutturare la mia analisi delle performance portate nell'ambito del poetry slam. Per chiarezza e necessità di sintesi, li propongo in maniera schematica.
PARAMETRI PER ANALIZZARE LE PERFORMANCE:
CONFRONTO TRA TESTO E PERFORMANCE
Confrontare la pura testualità con la performance è parlante rispetto a diversi punti. Osservando quanto la performance coincida o si distanzi dalla pura forma testuale – aspetti che riguardo alla voce si evincono già dai parametri sopracitati - è infatti possibile rendersi conto del peso che entrambi gli aspetti rivestono per l’autore.
È comunque importante notare che il format del poetry slam pone dei vincoli che limitano la performance per quanto riguarda l’utilizzo della musica, la sua durata e l’utilizzo di oggetti di scena. Un limite non dovuto al format, ma che dipende dal contesto in cui si svolge lo slam, può essere invece costituito dal tipo di microfono utilizzato che può consentire più o meno libertà di muoversi sulla scena.
[1] Paul Zumthor, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, Il Mulino, 1984. [2] Walter J. Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, 1982 [3] Henri Meschonnic, Critique du rythme. Anthropologie historique du langage, Verdier, 1982
Henri Meschonnic, La rime et la vie, Verdier, 1989
[4] Henri Meschonnic, La rime et la vie, Verdier, 1989, p.246
[5] Paolo Israel, Sull'oralità: invenzione di un sostantivo astratto in "Prometeo. Rivista trimestrale di scienza e storia", 2001, pp. 66-73
[6] Paul Zumthor, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, Il Mulino, 2001
[7] Ivi
[8] Ivi
[9] http://www.lellovoce.it/Avviso-ai-naviganti-Gabriele
[10] https://slamcontempoetry.wordpress.com/2017/03/28/il-mandato-sociale-del-poeta/
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