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Morte sintetica

di Davide Stefanetti


La morte è una componente fondamentale della vita umana.

Da sempre l’uomo ha provato a confrontarsi e a cercare risposte davanti a questo inevitabile fenomeno dell’esistenza di tutti gli esseri viventi. Ha interrogato gli dei, la scienza, la filosofia e molto altro.

Sinceramente non riesco a immaginare come sarà la mia morte o cosa essa comporti. Forse un incidente stradale, meno probabilmente un disastro ferroviario o aereo, ancor meno un naufragio.

Una malattia che mi consumi da dentro o semplicemente la vecchiaia, a chiusura di un ciclo durato quanto dovesse durare, a portarmi verso il nulla o a una nuova esistenza ultraterrena. Spero vivamente che la causa non sia un rapido degrado del mio essere, a livello sociale, economico, fisico e mentale, dovuto all’abuso di sostanze, principalmente oppiacei, che silenziosamente, anno dopo anno, annichilisce e alla fine annienta migliaia di individui, con conseguenze ancor più devastanti per chi sopravvive alle vittime.


La morte di una persona è una tragedia, la morte di milioni è statistica. La frase sembra essere stata attribuita a Stalin, ma riflette la situazione legata ai decessi da overdose. Ogni epoca ha avuto le proprie crisi dovute all’abuso di sostanze, come negli anni Settanta l’eroina, gli anni Ottanta dominati da crack e cocaina e gli anni Novanta di nuovo preda dell’eroina, ma ogni volta superata una certa soglia di tolleranza da parte dell’opinione pubblica, il problema è stato ignorato in attesa della successiva ondata.

È come se le società avessero da tempo abbracciato il mantra staliniano, come se avessero adottato una politica di salvataggio in stile Titanic: mettere in campo poche scialuppe di salvataggio per recuperare i primi caduti in mare e lasciare alla deriva e alla morte i più.

Considerare il fenomeno a livello globale è estremamente complesso data la difficoltà nel reperire i dati e a causa delle differenti modalità legate alle statistiche nazionali.

Se decidessimo di analizzare una nazione, recentemente balzata agli onori della cronaca per il devastante impatto dell’abuso di sostanze, principalmente oppiacei, la scelta non potrebbe cadere altro che sugli Stati Uniti.

I report giornalieri americani sui decessi sono stati interamente monopolizzati dalle vittime della pandemia di Covid-19 con quasi 600000 vittime dall’inizio della pandemia, ma il numero di killer silenziosi sul territorio a stelle e strisce è decisamente più elevato e annovera tra le proprie file sicuramente l’utilizzo improprio delle armi da fuoco (più di 12000 vittime, in accordo al Gun Violence Archive), ma soprattutto l’abuso di sostanze, in particolare oppiacei (oltre 80000 le vittime, secondo i dati del Center for Disease Control and Prevention).

Negli Stati Uniti le vittime di overdose nel solo anno appena trascorso sono superiori al totale delle vittime registrate in tutta la pandemia di Coronavirus in nazioni quali Germania oppure Spagna, è come se al territorio già immenso e alla sua popolazione di oltre 330 milioni di abitanti, venisse aggiunta la mortalità da Covid-19 di uno stato avanzato ed economicamente ricco come la Germania.

Le cifre sono impietose, dal 2019 al 2020 le persone che hanno perso la vita a causa dell’abuso di sostanze sono passate da circa 70000, come già riportato, a oltre 80000. Considerando le morti da overdose nell’intera Unione Europea, la cifra si attesta a circa 8000 persone, dieci volte meno, nonostante una popolazione di quasi 100 milioni di abitanti superiore agli USA.

L’impatto più devastante non viene rilevato, come si potrebbe facilmente pensare, nei quartieri più poveri e disagiati delle grandi metropoli come New York o Los Angeles o di città un tempo centri economici della nazione come Detroit o Chicago. Le zone maggiormente colpite sono le aree rurali, bianche e povere degli Stati Uniti orientali, in particolare modo le regioni carbonifere dei monti Appalachi centrali, West Virginia, Ohio e Kentucky in primis.

L’impatto del consumo di oppiacei in queste zone rurali, lontane dai grandi centri abitati e impoverite dalla sempre più marginale economia del carbone, supera di gran lunga qualsiasi altra regione USA: nel 2017 le morti legate da abuso di oppiacei erano in Appalachia il 70 % più elevate di ogni altra zona statunitense, secondo l’Associazione Nazionale delle Contee (NACO) e la Commissione Regionale dell’Appalachia (ARC). È interessante notare come questo più elevato tasso di mortalità sia sempre accompagnato da un maggiore livello di prescrizione di oppiacei rispetto ad altre parti del suolo americano.

È opinione diffusa che l’alto numero di prescrizioni e di conseguenza di dipendenze da antidolorifici oppiacei derivi nelle coal counties da ragioni storiche. Il duro lavoro in miniera era causa di costanti dolori fisici, infiammazioni croniche, infortuni più o meno debilitanti ed essendo l’economia del carbone la maggior, se non l’unica, fonte di sostentamento per milioni di abitanti dei monti Appalachi, la prescrizione e l’uso di antidolorifici permetteva di continuare a lavorare, nonostante tutto.


Sopravvivenza a breve termine opposta ad effetti importanti sulla salute delle persone e sulle comunità sul lungo termine.

L’attitudine ad affrontare il dolore fisico tuttavia non può essere la sola spiegazione all’epidemico livello di consumo di medicinali in queste zone orientali degli Stati Uniti. Possono essere ascritte al fenomeno almeno altre due ragioni: isolamento e ignoranza. Nell’enorme territorio a stelle e strisce la maggior parte della popolazione vive in contesti urbani, mentre una frazione della popolazione vive in zone rurali, lontane dai grandi centri culturali presenti principalmente sulla costa atlantica e pacifica della nazione.

Le zone rurali sono da sempre maggiormente conservatrici, rigettando l’attitudine liberal delle grandi metropoli e restano legate ad un’idea di Stati Uniti amante delle tradizioni, del potere salvifico di Dio, del diritto alle armi e di centinaia di altri stereotipi legati a volte alla frontiera, al self made man, all’orgoglio sudista, alle onnipresenti armi. L’isolamento e le tradizioni però fanno anche rima con possibilità limitate, disoccupazione, noia, assenza di prospettive, sfiducia nel futuro.

Se a tutto questo leghiamo la possibilità di fare business da parte delle compagnie farmaceutiche, è immediato giungere alla conclusione che tutto ciò è parte di una catastrofe annunciata, se non pianificata.

Gli oppiacei semi-sintetici quali morfina, eroina, codeina, sembravano essere la sola opzione nella gestione del dolore. I problemi di dipendenza causati tuttavia da queste sostanze, hanno fatto sì che venisse applicata una sempre più stretta regolamentazione nel loro utilizzo, lasciando comunque una scia di dipendenze e degrado derivante dal loro abuso.

Grazie a nuovi principi attivi quali tramadolo, ossicodone, fentanyl, all’inizio annunciati come la nuova frontiera nella gestione del dolore, si pensò che si potesse fare affidamento su farmaci maggiormente sicuri, in quanto dotati di un potere assuefante minore, almeno secondo quanto dichiarato dalle case farmaceutiche promotrici di questi nuovi principi attivi. In questo modo, grazie al presunto rischio di dipendenza ridotto, si sarebbe potuto gestire il dolore fisico in maniera mirata, relativamente sicura. Si sarebbe potuta avverare la promessa di eradicazione del dolore. Dolore dunque non più parte della condizione umana, a volte visto come una punizione divina, la moderna farmacologia avrebbe dunque potuto nuovamente donare dignità all’uomo, liberandolo dal giogo della sofferenza fisica.

Purtroppo come in ogni nuovo capitolo della farmacologia, alcune delle promesse iniziali non sono purtroppo state mantenute. I nuovi oppiacei sintetici studiati per la gestione del dolore e la rinnovata missione di debellarlo, hanno portato in alcune zone degli Stati Uniti ad una sovra prescrizione di questi medicamenti e alla conseguente impennata delle dipendenze.

All’inizio si è pensato che fosse un problema circoscritto a pochi individui, basato sulla tipica assunzione che un problema di dipendenza fosse una conseguenza di una mancanza di spirito, un problema riguardante solamente le persone prive di fibra, di spina dorsale, di forza di volontà.

Persone deboli.

Per questo motivo nelle aree rurali, dove la religione gioca un ruolo fondamentale nello scandire la vita di tutti i giorni, le soluzioni mediche non sono state adeguatamente implementate, lasciando forse alla provvidenza il compito di guidare nuovamente al gregge le anime smarrite nella dipendenza.

Se a questo aggiungiamo la sete di denaro delle case farmaceutiche coinvolte, che hanno per anni sminuito i rischi di dipendenza dei farmaci da loro prodotti spingendo dall’altro lato verso una aggressiva “lotta al dolore”, e l’operato di medici senza scrupoli che hanno prescritto senza alcuna remora quantità titaniche di pillole, è difficile pensare ad un risultato differente agli oltre ottocentomila morti causati negli ultimi vent’anni circa dall’abuso di sostanze nei soli Stati Uniti.

Morti almeno in parte evitabili se fosse stato seguito sin dall’inizio un approccio sperimentato con successo già a metà degli anni novanta in alcuni paesi europei, come Svizzera e Germania. Curando una dipendenza come una vera e propria malattia e non come un semplice vizio, queste nazioni sono riuscite a contenere e a diminuire in maniera significativa l’impatto della dipendenza da oppiacei (principalmente eroina e morfina) sul loro territorio prima che la nuova ondata di sostanze sintetiche potesse portare la situazione sull’orlo dell’ irrecuperabilità. Sono state attuate scelte radicali, spesso in contrasto con l’opinione pubblica, come la distribuzione controllata di eroina e metadone, di siringhe e materiale sanitario di base. Sono stati allestiti luoghi protetti dove i tossicodipendenti potessero iniettarsi in condizioni sicure ciò di cui necessitavano, rimanendo rapidamente raggiungibili dal personale sanitario in caso di seri problemi fisici o overdose. Sono stati messi in piedi programmi di prevenzione e di recupero, si è lavorato per togliere le persone dalle strade, dando loro un tetto sopra la testa ed in alcuni casi, programmi di formazione per ridare un senso a un futuro che aveva perso ogni significato.

Tutto questo ha avuto un costo notevole per la popolazione e ha dovuto affrontare numerose opposizioni da alcuni schieramenti politici, ma il prezzo pagato e che tuttora si paga per poter continuare con questo approccio è stato controbilanciato dalla validità dei risultati ottenuti.


Le tossicodipendenze non hanno solo un costo in termini di vite umane o di denaro investito nelle forze dell’ordine, nel sistema di giustizia e carcerario.

Non riguardano solamente il sistema sanitario o gli operatori in prima linea. Le tossicodipendenze sono un fardello che attanaglia tutta la società, l’aumento dei furti e dei piccoli crimini commessi per ottenere il denaro necessario ad acquistare una dose, la prostituzione di uomini e donne, soprattutto di queste ultime, spesso schiave sessuali dei propri spacciatori, la perdita di spazi pubblici diventati piazze di spaccio e consumo, la perdita di talenti e di potenziale.

I governi, in particolare il governo della nazione più ricca al mondo, devono cambiare paradigma e affrontare con rigore scientifico, ma soprattutto con umanità, il problema delle dipendenze da sostanze.

Le vittime sono spesso le fasce più deboli della società, persone abbandonate o raggirate dai potenti di turno, siano essi case farmaceutiche, dottori senza scrupoli o un sistema economico che li tiene incatenati ad una condizione di povertà, ignoranza e nessuna speranza per il futuro.

In termini di dignità, sicurezza, società, futuro, è sicuramente più vantaggioso salvare una vita umana che lasciarla in balia del proprio destino.

La triste alternativa è semplicemente pensare che i governi decidano solamente in termini economici cosa valga la pena recuperare e cosa non ne valga la pena e di sicuro pensare che la popolazione rurale, così cara al partito repubblicano e ai valori più tradizionali di un’America che forse non esiste più, possa essere sacrificabile, lascia pensare ad una totale mancanza di prospettive a lungo termine.

Un governo dovrebbe almeno essere interessato, se non al buon governo, a salvare il proprio elettorato. Abbandonarlo alla tossicodipendenza e al turbinio di degrado a essa legato, ignorando le richieste di aiuto, riporta nuovamente la mia mente a un naufragio dove i pochi fortunati sulla scialuppa di salvataggio aspettano l’arrivo di un’onda sufficientemente grossa o degli squali in modo da eliminare la sofferente umanità che in alto mare tenta di non annegare. Aspettare che il tempo faccia il suo corso, chiudendo gli occhi e tappando orecchie e narici, sperando che il problema si risolva portando via chi è ora scomodo e non serve più a creare benessere o profitto.

Siamo tutti responsabili delle nostre scelte.

A volte semplicemente imbocchiamo la strada sbagliata per errore, perché non pensiamo di avere un’alternativa o forse perché qualcuno o qualcosa ci invita con un sorriso rassicurante a farlo. Tutti commettiamo errori, ognuno di noi deve però avere la possibilità, se non di porvi rimedio, almeno di ricevere una mano. Forse non tutti possono essere salvati, ma un aiuto e un raggio di speranza non devono essere negati a nessuno, nemmeno a chi non è più considerato un essere umano, ma solo un tossico.

Ci si deve provare, punto.


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